“Non sono mai venuto al festival di Berlino, ma la città mi è molto familiare, ci ho portato ben quattro spettacoli. E agli Efa ho già vinto nel 2008 con Il divo e Gomorra”. Parola di Toni Servillo, in lizza alla 26esima edizione degli Oscar europei, gli European Film Awards, con il ruolo di Jep Gambardella ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino, cui vanno altre tre nomination – film, regia e sceneggiatura – nonché il miglior montaggio, già attribuito a Cristiano Travaglioli.
Impegnato in teatro con Le voci di dentro – domani doppio spettacolo a Bergamo, per supplire a quello cancellato oggi – Servillo sottolinea: “Si fa più fatica in Italia a essere prodotti, la vita è più difficile, mentre all'estero si accorgono del nostro cinema, e non solo ai festival. Anche se lo sport nazionale è l'autoflagellazione, io credo al nostro cinema, alla nostra cultura: questa è la nostra industria, e gli stranieri l'apprezzano”.
Non solo Efa, La grande bellezza è il nostro portabandiera agli Oscar, e negli Usa – domanda immancabile della stampa d'Oltreoceano, rivela l'attore, quale sia il sarto che veste il suo Jep (Attolini) - è stato accolto bene sia dalla critica che dal pubblico: “I segnali sono incoraggianti, ma già entrare in cinquina sarebbe un ottimo risultato. Se Sorrentino ha riconoscimento internazionale grazie al talento, in questo film anche uno straniero si identifica, perché Jep è un cinico sentimentale deluso, che poi diventa moralista nel senso classico del termine. E' un provinciale alla conquista di una grande città, come di solito sono i cinici sentimentali, e sullo sfondo c'è Roma, che nell'immaginario collettivo è capace di accogliere straordinariamente la bellezza, ma poi non riesce a trasfigurarla”.
E Servillo ringrazia Sorrentino: “Mi ha regalato un personaggio affascinante, uno scrittore come Soldati che vive la propria autobiografia”. Inevitabile il rimando a La dolce vita, e Servillo non si tira indietro: “Fellini lo fece negli anni dello slancio della ricostruzione del paese, e il titolo provvisorio, La bella confusione, si riferiva a uno stile compositivo che era anche della letteratura con Arbasino e La Capria: oggi c'è meno bellezza e la confusione ha un tocco più tragico”.
Se il plauso della critica internazionale era stato quasi unanime, in Italia su La grande bellezza, presentato in anteprima al festival di Cannes, c'era stato qualche distinguo: “Ridimensionerei quelle critiche sfavorevoli, del resto, è un cavallo che si cavalca facilmente, il chichiricchi nei pollai: non puoi giudicare un film così con i tempi dettati dalla cronaca di un festival”, precisa l'attore, ricordando i quasi 7 milioni incassati in sala e il successo in homevideo.Tornando agli Efa, parla di quello europeo come del cinema “che produce una dimensione lirica legata allo stesso linguaggio cinematografico, anche se poi dentro l'industria americana più smaccata ci può essere poesia, ma questo lo scopri solo più tardi. Comunque, un Kieslowski americano faccio fatica a trovarlo, e il mio cuore batte per quella speculazione cinematografica”.
I fratelli Coen e Alexander Payne i registi americani con cui vorrebbe lavorare, “la stima reciproca per Wes Anderson e John Turturro”, Servillo non sarà nel prossimo film di Sorrentino, In the Future, con protagonista Michael Caine: “Tra lui e Sean Penn (This Must Be the Place di Sorrentino, NdR) mi sento come don Abbondio, ma non un vaso di coccio: sono più resistente. Sean Penn l'ho conosciuto bene, è magnifico, ma ogni volta che vedo Caine sullo schermo mi chiedo, ma io faccio lo stesso mestiere? Da Le conseguenze dell'amore in poi, conosceva tutti i nostri film, una cosa che mi lusinga”.