"Volevo fare un thriller all'americana, un tributo al genere, ma allo stesso tempo m'interessava molto l'idea di lavorare in Giappone, di fare un film che fosse anche giapponese". Questa la doppia anima di Inju - La bête dans l'ombre secondo il sessantasettenne regista Barbet Schroeder, che nella sua lunga e multiforme carriera è stato anche produttore, critico cinematografico e attore collezionando premi e amicizie di pregio (tra i primi le candidature all'Oscar e al Golden Globe, tra i secondi la collaborazione con Godard e la produzione di due film del maestro Rohmer).
"Mi sono preso un anno sabbatico per conoscere meglio il Giappone. Lì ho approfondito la lettura di Edogawa. Poi sono andato in videoteca e ho scoperto che Inju era già stato adattato altre volte per il cinema", è lo sceneggiatore Bougrelle a raccontare la genesi del progetto del film aggiungendo: "La cosa che più mi ha sorpreso è la modernità del romanzo, scritto all'inizio del secolo scorso. Dentro ci sono già elementi del cinema degli anni '90, mi viene in mente Basic Instinct, e soprattutto l'incertezza sull'attendibilità del mondo che ci circonda".
Inju è stato girato interamente in Giappone per volere di Schroeder che così ha raccontato i motivi della sua scelta: "Come ho già fatto qualche anno fa andando a girare in Colombia (La vergine dei sicari, premiato qui al Lido nel 2000 con la medaglia d'oro del Senato, ndr), ho cercato anche questa volta di lavorare nei luoghi in cui è ambientata la storia, usando attori e troupe del posto, così da conoscere la loro cultura attraverso il loro modo di lavorare". Nonostante l'entusiasmo espresso da Lika Minamoto e Ryo Ishibashi, i due interpreti giapponesi presenti alla conferenza stampa, Schroeder non nega le difficoltà dell'impresa: "Abbiamo incontrato molti ostacoli, come l'obbligo di comunicare in anticipo all'intera troupe, tecnici compresi, cosa si stava per girare, in che modo e perché. Ma alla fine abbiamo superato tutte le difficoltà e sono stato molto contento della mia scelta: le rigide restrizioni al lavoro della troupe durante le riprese in luoghi pubblici mi ha fatto conoscere per esempio il profondo senso del rispetto caratteristico della cultura di questa gente". Schroeder ha concluso rispondendo con una punta d'orgoglio alla domanda sulle scene del film più strettamente legate alla cultura tradizionale giapponese: "Per la sequenza iniziale mi sono avvalso della consulenza d'uno specialista di questo genere di cinema, così pure ho fatto per la danza di Tamao, o per la scena della cerimonia del the: tutto è stato fatto perché il film fosse alla fine il più esatto possibile".