Mario Scaccia è il grande "commediante" del teatro italiano, nel senso espresso da un suo sommo collega. Louis Jouvet: il senso alto che è del genio di Aristofane. Baldo ottantunenne, in sessant'anni di carriera ha vissuto esperienze teatrali e cinematografiche con le quali la sua personalità si è identificata in personaggi grandi o piccoli, senmpre caricandoli di una tensione espressiva incomparabile. Questo tesoro di arte scenica è racchiuso nel volume Io e il teatro che Mario Scaccia ha pubblicato da Bulzoni ripercorrendo le tappe di un cammino attraverso lo spettacolo italiano fra il 1946 e il 2001. Di tanto arco di vita e del libro l'attore parlerà sabato 29 in una sala della periferia romana - nel cinema del Municipio VIII (via Fernando Conti) di Tor Bella Monaca - ad un uditorio composto prevalentemente di giovani. Sono quelli che Edoardo Torricella coinvolge con la sua Compagnia Teatrale Il Gruppo realizzando rappresentazioni culturalmente impegnate, momentaneamente sospese per lavori i corso nella struttura di palcoscenico abitualmente praticata. Circostanza che ha indotto Torricella a promuovere ora una serie di incontri-dibattito inaugurata appunto da Scaccia. Anch'egli "ramingo" dopo il forzato abbandono della Sala Molière nel quartiere Prati, da lui valorizzata. Di simili momentanee disavventure è punteggiata la carriera di Mario Scaccia, come di ogni artista che abbia voluto affermare e difendere le proprie idee "controcorrentte". Ma per fortuna fanno premio su tutto le scelte di repertorio che l'hanno portato a farsi, come ha detto un famoso critico, consanguineo di eccelsi protagonisti della letteratura teatrale: "Romolo il Grande" della omonima opera di Dürrenmatt e un gigante di Molière come Arpagone; e ancora Petrolini di "Chicchignola" e lo scespiriano "Mercante di Venezia" in cui l'attore spiccò anche come regista, e il meno noto ma indimenticabile Nerone creato da Carlo Terron. Ma Scaccia ama ricordare gli inizi di attore, quando il drammaturgo Diego Fabbri lo trascinava - scrive - "nei sotterranei delle chiese" per recitare i suoi drammi per soli uomini, in tempi lontani di palcoscenico vietato alle donne nelle sale parrocchiali.