13 registi europei per "esplorare" Sarajevo. O meglio, per costruire un collegamento - un ponte - tra passato, presente e futuro della città che, proprio un secolo fa (il 28 giugno 1914), fu teatro del motivo (quello scatenante, diciamo) che portò alla Grande Guerra: l'uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando. Proprio il primo dei 13 episodi, quello diretto da Kamen Kalev (Ma chère nuit), ricostruisce la sera dell'attentato. Collegati tra loro da inserti animati creati da François Schuiten e Luis da Matta Almeida, i film-corti de I ponti di Sarajevo offrono un insieme di riflessioni, un confronto, visioni, sul palcoscenico che meglio di altri ha saputo rappresentare le tensioni del Secolo Breve, con le sue drammatiche conflittualità, culture, identità etniche e geopolitiche, culminate nella dolorosa guerra dei Balcani. Oggi, però, la città è diventata il simbolo, il cuore di speranze che sono risorte dalle macerie di quei drammi.
Presentato al Festival di Cannes tra le Séances Spéciales, il film ha visto la direzione artistica di Jean-Michel Frodon e la partecipazione dei seguenti registi: oltre al già citato Kamen Kalev, Vladimir Persic (Our Shadows Will), Angela Schanelec (Princip, Texte), Cristi Puiu (Reveillon), Jean-Luc Godard (Les ponts des soupirs), Sergei Loznitsa (Reflexions), Marc Recha (Zan's Journey), Aida Begic (Album), Teresa Villaverde (Sara et sa mère), Islid le Besco (Little Boy), Ursula Meier (Silence Mujo) e i due italiani Leonardo Di Costanzo (L'avamposto) e Vincenzo Marra (Il ponte).

"Tutto il progetto è una metafora, un simbolo: Sarajevo è la città della convivenza, dove da sempre hanno coabitato etnie e religioni diverse. Poi, per un caso strano della storia, è stata dapprima teatro dell'avvenimento che causò la Grande Guerra, poi il centro della Guerra dei Balcani: il luogo della convivenza che diventa simbolo del conflitto", dice Leonardo Di Costanzo, che per il suo episodio (L'avamposto) si è ispirato ad un racconto di Federico De Roberto (La paura). "Mi sono concentrato sulla figura del tenente, costretto a mandare i suoi soldati a morire, stretto tra la logica dei sentimenti e quelli della guerra", dice ancora il regista, che conclude: "La paura del soldato è un momento di ribellione".

Dalla Grande Guerra ai giorni nostri, quelli dove Vincenzo Marra ha costruito il suo Il ponte: "Un anno fa - racconta Marra - mi ha chiamato Frodon perché voleva che partecipassi al progetto. Doveva essere un film di finzione, durata massima 8-9 minuti, con budget uguale per ogni film, seppur proporzionato alle differenze economiche dei vari paesi. Per quanto riguardava il tema, non ho avuto dubbi: volevo raccontare Sarajevo lontano da Sarajevo. E' una città che conosco molto bene, ci sono stato prima, poi a ridosso e poi dopo la guerra dei Balcani. Ho voluto raccontare la diaspora, il discorso dell'emigrazione. Ancora oggi ci sono 2,5 milioni di bosniaci che vivono fuori dalla Bosnia. E ho scelto Roma come ambientazione, perché oltre alla metafora sul matrimonio misto, mi sembrava la città che meglio di altre potesse racchiudere molti simboli, la moschea, la sinagoga, i ponti, per non parlare della chiesa al Campidoglio che custodisce le spoglie dell'ultima regina di Bosnia". Le ferite che ancora non si rimarginano: "Il trauma è qualcosa che difficilmente ti abbandona, prosegue Marra, la trasformazione di una città devastata dalla guerra magari si percepisce solo dal punto di vista estetico... E invece c'è uno studio che dimostra quanto sia aumentata in Bosnia la concentrazione di tumori. Molti sostengono che il tumore sia una malattia dell'anima. Quanto un fenomeno collettivo si insinua sulla pelle dei singoli?", si chiede il regista, che a fine giugno dovrebbe iniziare le riprese di un nuovo film, La prima luce, prodotto dalla Paco Cinematografica e distribuito da Bim, con Riccardo Scamarcio e Daniela Ramirez. "Sulla trama non vi dico nulla però", aggiunge Marra, ma il film dovrebbe prendere come spunto le paternità contese soprattutto tra cittadini appartenenti a paesi diversi.

Paesi diversi che, invece, hanno collaborato alla realizzazione de I ponti di Sarajevo, coprodotto da Francia, Bosnia, Svizzera, Germania, Portogallo, e Italia (Mir Cinematografica con Rai Cinema e il sostegno della Trentino Film Commission, Mibac-Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la Fondazione Cassa Rurale Di Trento.
"Il cinema italiano di solito coproduce poco - dice Gianfilippo Pedote di Mir Cinematografica - ma si sta rendendo conto che è questo il futuro: creare dei prodotti destinati a pubblici diversi, seguendo l'aspirazione europea di individuare fasce di pubblico transnazionali". "Senza dimenticare - aggiunge Francesco Virga di Mir - che il film è partecipato anche da diverse televisioni in Europa. Un film che racconta il Secolo Breve attraverso gli occhi di Sarajevo e che fornisce uno spunto di riflessione sull'Europa di oggi, per ricordarci che ogni forma di nazionalismo può condurre a forme di conflitto".
La collezione dei corti, dopo la presentazione al Festival di Cannes, andrà a giugno a Sarajevo, in apertura dell'evento "Sarajevo nel Cuore d'Europa" che il 27 giugno apre la rivisitazione del centenario dello scoppio della Grande Guerra.