"Avevo scritto una lunga lettera ad Antonio Perrone. Volevo sapere. Chiedergli il motivo delle scelte che aveva fatto e come si era sentito quando tutto era finito. Quella lettera però non gliel'ho mai spedita". E' un personalissimo Claudio Santamaria quello che veste i panni di Antonio Perrone, gangster ambizioso ed ergastolano tormentato, protagonista di Fine pena mai - Paradiso perduto, in sala venerdì 29 febbraio in 40 copie distribuite da Mikado. Tratto dal libro (Vista d'interni, ed. Manni) del vero Perrone - condannato nel 1989 a 49 anni di reclusione, 14 dei quali scontati in regime di carcere duro -, è un classico racconto di ascesa e caduta di "un bravo ragazzo", inizialmente illuso dagli agi e il potere che la carriera malavitosa gli offrono e tardivamente "dissociatosi" quando quella vita ormai lo ha finito per sempre. "Antonio è un apostolo dello sballo e dell'edonismo in un periodo di sbando, droghe e condivisione. - spiega Davide Barletti, coregista del film insieme a Lorenzo Conte - Non è un vero criminale, ma finisce per restare ingabbiato in un personaggio da cui non sa più uscire". Perrone era affiliato alla pugliese Sacra Corona Unita, "la quarta mafia", un fenomeno nato negli anni '80 "in concomitanza con l'assalto al territorio. - spiegano i due - Per darsi un'identità ha mutuato i rituali da altre mafie. La società salentina (il film è ambientato a Brindisi, ndr) era impreparata proprio per la grande rapidità con cui si è manifestata". Ed è un Salento poco idilliaco quello in cui si muovono i personaggi, un territorio imperversato da piccoli e grandi delinquenti, bische e spaccio di droga: "Con Italian Sud Est - il documentario d'esordio dei due giovani registi, tra i fondatori della Fluid Video Crew - avevamo raccontato un Salento fantastico, allegorico, grottesco. Ma sentivamo che mancava qualcosa: il lato oscuro, rimosso, di una comunità che è stata teatro della nascita di una mafia particolare, senza radici, in una regione priva di retroterra mafioso, una mafia post-moderna". Barletti e Conta, che hanno incontrato un paio di volte il vero Antonio Perrone ("solo tre mesi fa, quando è uscito dal regime di totale isolamento", chiariscono), non si sono ispirati solo all'autobiografia dell'ergastolano ma hanno preso spunto anche dai racconti della moglie, Daniela, interpretata da Valentina Cervi: "Daniela mi ha aiutato molto nella costruzione del personaggio. Le sue foto, gli aneddoti contenuti nel libro e il documentario che su di lei hanno girato Davide e Lorenzo, sono stati un insostituibile supporto". Un documentario? "Si, incentrato su Daniela - interviene Barletti -. Filmando lei, con la sua incredibile storia, per raccogliere i materiali sul film, ci è venuta l'idea di farne un uso a parte". Le immagini del documentario erano originariamente una costola del film, che Barletti e Conte avrebbero voluto "mischiare" con quelle di fiction: "Un esperimento che non ci ha convinto".