Chi non ha mai pensato alla possibilità di poter tornare sulla terra dopo essere morto? L'opportunità di una seconda chance viene concessa a Biagio Bianchetti, il protagonista di Mi rifaccio vivo di Sergio Rubini presentato ieri sera in anteprima al Petruzzelli di fronte a una platea gremita fino all'inverosimile. Del resto il pugliese doc Rubini al Bif&st gioca in casa, e per sovrappiù ha chiamato a far del cast Emilio Solfrizzi, pure lui nato in Puglia, partito dalla mitica Telenorba per approdare ai fasti del piccolo schermo nazionale. Inevitabile la folla delle grandi occasioni, si sarebbe detto un tempo. Ma a incuriosire anche per la virata verso la commedia operata dal regista. Non che i suoi film precedenti non avessero tutti un tocco di malinconica leggerezza, ma qui siamo a una comicità più diretta, a volte persino parente stretta della farsa benché Rubini dica di aver guardato a altri modelli. “Avevo voglia di girare una commedia lontana dagli schemi italiani, quella sofisticata mi è sembrata la più affine alla storia - racconta. L'umorismo nasce da una battuta, da una situazione o da tutte e due le cose insieme, in questo film ho provato a sfruttare la fisicità di attori così diversi tra loro come Lillo, Marcorè e Solfrizzi. Già a vederli assieme fanno ridere. Non avevo mai diretto dei comici, chi viene dalla televisione spesso è guadato male ma è un falso pregiudizio. Sono stati bravissimi e generosi”.
Dietro l'angolo, è lampante, sbucano i riferimenti a Il paradiso può attendere e a La vita è meravigliosa, sebbene il coriaceo Bianchetti all'inizio non abbia affatto in mente il bene dell'umanità ma la distruzione del suo eterno rivale Ottone Di Valerio interpretato da Marcorè. “L'invidia e il rancore – spiega Rubini – sono malattie universali. Io non sono rancoroso, ma immagino che la vita di chi lo è sia irta di disagi. Il protagonista non vive bene, volevo raccontare del suo tarlo che diventa ossessione. Ma pure del suo percorso difficile che approda a un lieto fine perché strada facendo opera scelte coraggiose guardando in modo nuovo gli altri e cominciando ad apprezzare il piacere di aprirsi al diverso. In effetti se dovessi definire Mi rifaccio vivo direi che è un film sulla tolleranza. Mentre non c'entra nulla la morte pur se si parla di aldilà. Mentre come molti dei miei lavori si può chiamare onirico, che è tutta un'altra cosa da mortifero”.
Emilio Solfrizzi e Lillo, che nel film sono entrambi Bianchetti in sembianze diverse, confessano l'entusiasmo con il quale si sono buttati nel progetto. Timidamente Lillo, per una volta senza Greg, si dichiara fortunato per essere stato chiamato da Rubini, Solfrizzi invece espone le difficoltà di confrontarsi con il proprio doppio. “Con Lillo – spiega – siamo spesso nella stessa scena. Lui è la mia immagine riflessa nello specchio così come la vedo io e la vedono gli spettatori. Una sfida affascinante palesare un io diviso, ma credo che abbiamo trovato la chiave giusta per farlo. Lillo ed io abbiamo sensibilità diverse così come differenti sul set erano sono le personalità di Marcorè, Margherita Buy e Vanessa Incontrada, ma il segreto del cinema alla fine è la perfetta unione di tante anime”.