“Da anni mi interrogavo sulla figura di Giuseppe, sull’essere padre nella società contemporanea, e mi chiedevo come quella famiglia di duemila anni fa potesse ancora parlare a quelle di oggi. Ho capito come raccontare la storia di Giuseppe scoprendo che in aramaico bar-abbâ letteralmente vuol dire "figlio del padre”, per cui Yēshūa bar Yôsēf (Gesù figlio di Giuseppe) e quindi Bar Giuseppe. Guardando poi la copertina di un libro del cardinal Ravasi, che raffigura san Giuseppe molto anziano con in braccio un bimbo, mi sono chiesto quanta differenza ci fosse tra Giuseppe e Maria, di età, di classe, di ceto. Ambientando il film oggi, ho voluto concentrarmi sul problema dei migranti. Anche Giuseppe e Maria sono stati esiliati, e i loro problemi erano quelli dei nostri profughi: dove andare, vivere, abitare, con quale lavoro. Ho cercato di sollevare queste domande e di dare qualche risposta”, spiega Giulio Base, il regista di Bar Giuseppe, la vicenda della Sacra Famiglia (in chiave moderna) presentata alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Riflessi.

Giulio Base - Foto Karen Di Paola

La religione al centro, interrogandosi sui problemi della nostra epoca. La stessa operazione che fa Le beatitudini di Sant’Egidio, il documentario sulla Comunità di Sant’Egidio diretto da Jacques Debs: “Conosco la Comunità di Sant’Egidio da vent’anni.

È un luogo molto importante, per Roma e non solo, perché si fonda sulla speranza e sull’amore. Sono cattolico, ma questo film è anche per chi non lo è. Le iniziative della Comunità sono eccezionali. Ho messo in luce i suoi tre valori cardine: preghiera, povertà e pace. E i protagonisti sono gli ultimi, chi vive ai margini della società. Senza i giovani della Comunità, anziani e diversamente abili sarebbero soli”. Le beatitudini di Sant’Egidio è stato presentato tra gli eventi di preapertura della Festa.

In Selezione Ufficiale invece troviamo Santa subito di Alessandro Piva, che narra la vicenda di Santa Scorese, ragazza di Bari uccisa nel 1991 dal suo persecutore. Il reato di stalking non esisteva ancora. Era un’attivista cattolica, che per tre anni è stata tormentata da un uomo disturbato.

Piva ha raccontato: “Sono pugliese, ma nel 1991 ero a Roma a studiare cinema. Sono venuto a conoscenza della tragedia di Santa Scorese ascoltando Rosa Maria, la sorella. Mi ha molto colpito quello che diceva: la vittima non è solo Santa, ma anche il suo assassino, abbandonato dallo Stato, in balia di se stesso con il suo disagio mentale. Ho pensato che tutto questo meritasse di essere portato sullo schermo”.