“Non esiste nulla al mondo di più noioso dei fotografi e, ovviamente, dei film sui fotografi”. Per fortuna il doc The Bad and The Beautiful di Gero von Boehm, presentato fuori concorso al Torino Film Festival dopo il Tribeca, smentisce quel che affermava Helmut Newton e ci restituisce un ritratto vivace e per nulla tedioso del controverso maestro della fotografia.

“Lui non voleva essere filmato. Voleva essere lasciato solo. I fotografi vogliono osservare e avere il controllo totale dell’immagine, ma io avevo talmente tanta voglia di fare questo film che alla fine lo convinsi”, racconta il regista tedesco, che ha girato questo biopic nel corso di due anni, svelandoci la personalità del fotografo tedesco attraverso vari filmati d’archivio e le testimonianze delle tante donne che ha spogliato di fronte al suo obiettivo. Da Grace Jones, a Charlotte Rampling, da Isabella Rossellini ad Anna Wintour, da Claudia Schiffer a Marianne Faithfull, da Hanna Schygulla e Nadja Auermann e anche ovviamente la moglie June (alias la fotografa Alice Springs): tutte lo celebrano e lo ammirano.

Nato a Berlino nel 1920 e tragicamente scomparso per un incidente d’auto nel 2004 a Los Angeles, Newton con le sue donne provocanti, scultoree, dominatrici e al tempo stesso sottomesse, dalle gambe lunghe e dai seni prorompenti, con i sederi sporgenti e i tacchi a spillo, ha fatto discutere parecchio. Tante le polemiche sulla sua arte provocatoria (fotografò perfino un pollo con i tacchi a spillo e accostò una pietra Bulgari da un milione di dollari a una coscia di pollo giacente su un tavolo) e rivoluzionaria.

“Molti dicevano che era misogino e maschilista -racconta il regista-. E tanti sostenevano che vedeva le donne solo come oggetti. Non penso che sia così. Lui voleva mostrarci la forza delle donne. E poi dobbiamo capire il contesto dei tempi nel quale si muoveva”.

Ebreo cacciato dalla Berlino nazista (“Avevo tredici anni quando Hitler salì al potere e presto fummo circondati da immagini naziste”), a seguito delle leggi razziali del 1938 si rifugia a Singapore (lì lavora come reporter, ma viene licenziato perché troppo lento: “quando avevo finito di montare l’attrezzatura, l’evento era terminato”), poi va in Australia e infine approda a Parigi dove si interessa alla moda e inizia la sua carriera come fotografo di Playboy. Nel doc, che sarà distribuito da Movies Inspired, si racconta anche la grande influenza sulle sue immagini di Leni Riefenstahl.

David Lynch and Isabelle Rossellini, Los Angeles, 1988 (c) Foto Helmut Newton, Helmut Newton Estate Courtesy Helmut Newton Foundation

Ma quest’uomo che ha dichiarato di “amare la volgarità perché pulsa di vita” cosa penserebbe oggi del Me Too? “Sarebbe assolutamente d’accordo con il movimento. Era un po’ contraddittorio: era macho e femminista allo stesso tempo. Sarebbe stato a favore perché lui amava le donne e voleva sempre mostrarci la loro forza in ogni sua fotografia. Amava parlare con loro perché pensava che fossero molto più intelligenti e molto meno noiose degli uomini”.

Le sue fotografie non erano semplicemente erotiche, ma stimolavano la fantasia e raccontavano delle storie e, per Gero von Boehm, Newton ci ha mostrato in generale cosa significa la libertà d’espressione. “Ora siamo in un mondo dove tutto è politicamente corretto, ma penso che questo sia  anche pericoloso. Rischiamo che l’arte non possa esprimersi liberamente e che i nostri tempi diventino noiosi. Non bisogna anteporre un’ideologia all’estetica altrimenti entriamo in una dittatura del gusto”.

Infine racconta: “Da lui ho imparato tante cose sulla vita. Quando ho saputo che era morto all’inizio non ci credevo. Era una persona sensibile, ironica e positiva”. E di fatto sulla morte Newton diceva: “Perché dovrei pensarci? Arriverà troppo presto o troppo tardi. Non posso farci nulla. Non voglio sprecare il mio tempo. Credo di poterlo usare per cose molto più positive”.