“Siamo alla vigilia di Ferragosto, a Torino. La città viene sconvolta da una serie di omicidi, che si svolgono nei luoghi in cui sono stati girati i film di Dario Argento. La polizia ha il sospetto che il colpevole sia uno studioso del maestro del brivido italiano. La caccia all’uomo è aperta”. Così Luca Canale Brucculeri presenta il suo esordio dietro la macchina da presa: Onirica, realizzato con la sua May Film (fondata con Mattia G. Furlan e Antonio Rochira), in coproduzione con Lacumbia Film e Gipix. Il film uscirà nelle sale a marzo 2019, distribuito da Cinemuseum Indipendent. Nel cast Fabio Rossini, Diego Casale, Camilla Nigro, Pierluigi Ferrero, Alice Lussiana Parente, Alfonso De Filippis, Diamara Ferrero e Giorgio Mirto.

Come nasce la sua passione per il cinema?

Tutto è partito dalla storica sala Adua di Torino. I miei genitori avevano un bar lì vicino e in zona abitava anche mia nonna. Il primo film che ho visto è stato Zio Paperone alla ricerca della lampada perduta. Volevo a tutti i costi parlare con un bambino che era seduto dietro di me, invece di seguire la storia. A metà della proiezione mia madre mi ha portato via: quel giorno ho imparato il valore del silenzio.

Ha sempre voluto diventare un regista?

Da piccolo mi chiedevano spesso che cosa avrei voluto fare da grande, e ogni giorno cambiavo mestiere. Poi ho capito che per farli tutti bastava sceglierne uno: il regista. In realtà ho iniziato come attore. A sette anni già recitavo con una compagnia amatoriale, mettevamo in scena le pièce di Macario in piemontese. Poi sono cresciuto, volevo raccontare le storie dal mio punto di vista, così sono passato dietro la macchina da presa.

 

Che cosa cerca quando guarda un film?

Chi ha voglia di osare vince già in partenza, la tecnica non basta. Bisogna reinventarsi, sviluppare uno sguardo. Mi sento prima di tutto uno spettatore. I film devono accompagnarmi anche dopo l’accendersi delle luci in sala. In fondo un regista è uno spettatore privilegiato, perché attraverso la cinepresa può mostrare la sua visione del mondo.

Come nasce Onirica?

Dai miei sogni. Fin da piccolo mi svegliavo in piena notte e vicino al mio letto vedevo una donna con le sembianze di mia madre. Poi svaniva. Quando chiudevo gli occhi camminavo in una Torino ombrosa, dove i luoghi si mescolavano e io venivo proiettato da una piazza all’altra. Ho unito queste mie suggestioni alla grande passione per il cinema di Dario Argento. A casa mia i suoi film erano quasi un tabù: non se ne poteva parlare. Mia madre era terrorizzata dalle sue vicende. Onirica è metacinema, fa riferimento ai capolavori di Argento con uno sguardo personale. Non si tratta di remake, perché c’è un’idea forte alla base. Chi prova a rivisitare il lavoro degli altri non può perdere la propria inventiva. Il mio è un omaggio.

Che cosa la colpisce del cinema di Dario Argento?

Come disse Lucio Fulci in una delle sue ultime interviste: “La paura che mette in scena Dario Argento è qualcosa che ha a che fare con i sogni”. Lo spettatore non si sente mai veramente terrorizzato, perché è tutto portato all’estremo. I suoi sono brividi che divertono.

Ha mai conosciuto Argento?

Quando sono andato a vedere Profondo Rosso al cinema, restaurato in 4k, lui era seduto vicino a me. È stata una grande emozione. Gli ho chiesto di firmarmi il bluray del film al buio. È stato molto disponibile.

Questo è il suo primo lungometraggio. Che cosa si prova all’esordio dietro la macchina da presa?

È strano. Avrebbe dovuto terrorizzarmi, perché il salto da un cortometraggio è grande. Ma la mia forza sono statigli attori, che sul set diventano la tua famiglia. Il dialogo è molto importante, come la passione.

Qual è stata la sua prima inquadratura in Onirica?

La Fontana del Po di notte, in Piazza CLN a Torino. Onirica è un giallo sulle orme del maestro del brivido italiano. L’horror non conosce crisi perché consente ai giovani registi di reinventarsi. Il pubblico si diverte esorcizzando le proprie paure, e i cineasti non devono prendersi troppo sul serio. In fondo è tutto un gioco.

Dario Argento ha detto più volte che i film sono frutto dei suoi incubi. Invece come prendono vita le sue storie?

Principalmente dalla realtà, sono un grande osservatore. Mi piace guardare le persone, studiarle e fantasticare. Poi naturalmente anche i sogni sono molto importanti, perché racchiudono il nostro inconscio.

Che cos’è per lei il cinema?

Una luce di speranza. Ti consente di staccare la spina dal tuo quotidiano e di concentrarti sulle vite degli altri. Alimenta il nostro immaginario, e poi magari ci fa riflettere sulla nostra esistenza.