Gli parli mentre osservi una foto. Lui attorniato da decine di bambini sul set de Gli anni in tasca, che sorride e discute con i piccoli trattandoli da grandi. Gli parli e ascolti i suoi pensieri, la sua vita, la filosofia del suo cinema mentre in una qualsiasi sala buia si srotola una sequenza de I 400 colpi o di Jules e Jim o della Signora della porta accanto. Lui sembra ti stia vicino a suggerirti sogni, immagini. A chi ama François Truffaut nulla è vietato. Anche l'impossibile chiacchierata, oggi, davanti a un caffè in una splendida casa immaginaria sui tetti di Roma. Magari per ricordare, in modo surreale i venti anni della sua scomparsa, il 21 ottobre dell'84. Beve un sorso di caffè e mi parla della sua nostalgia: "Sì, sono un nostalgico, lo sono sempre stato. La mia ispirazione è costantemente rivolta verso il passato. Forse anche per questo, credo, i miei film, e in particolare Baci rubati, sono pieni di ricordi e si sforzano di risvegliare i ricordi di gioventù degli spettatori". Ma cos'è un film per Truffaut? "Dico sempre che è come un tragitto in treno: le scene si agganciano come vagoni le une alle altre, la storia avanza sui suoi binari, il pubblico-viaggiatore non abbandona il treno, si lascia trasportare dal punto di partenza al capolinea attraversando paesaggi che sono delle emozioni". E il cinema? Il cinema cos'è? Un sogno, il gioco di un folle o cosa? "Lei parla di sogni. Ecco, con il cinema io davvero realizzo i miei sogni" dice disegnando figure indecifrabili nell'aria - significa prolungare i giochi dell'infanzia". E quella parola, "infanzia", la pronuncia con la luce negli occhi. "Io non ho filmato bambini per capirli meglio, ma perché li amo". Impossibile allora non chiedergli del suo eterno bambino, quell'irraggiungibile Jean-Pierre Léaud che ha pedinato da I 400 colpi. Chi è per Truffaut? Un attimo di riflessione, poi François riprende: "Io e Antoine? Praticamente la stessa persona". Ci alziamo dal divano, Truffaut è incuriosito dalle notizie del tg che rimanda una tv accesa in un angolo. E sente parlare di guerra, degli scontri a Nassiryia, di un tragico attentato, di un 11 settembre... E' scioccato. Gli chiedo a bruciapelo cosa pensa della guerra: "La grande illusione, secondo me, è credere che questa guerra sia l'ultima". Mi viene in mente di chiedergli se nel fare cinema, il suo cinema, sia mai stato sfiorato dal dubbio: "Mi creda, il capolavoro è irrespirabile". E allora chi sono, per Truffaut, i maestri più ispirati del cinema? Non ci pensa due volte e snocciola nomi come se avesse pronta da sempre la risposta: "Chaplin, Renoir, Dreyer, Hitchcock, Bunuel, Bresson, Gance, Lang, Vidor, Cocteau e Rossellini". Un solo italiano? "Credo che Rossellini, insieme al critico André Bazin, l'uomo più intelligente che ho conosciuto. Mi ha insegnato che una buona sceneggiatura deve stare in dodici pagine - continua, mentre scarta un cioccolatino - che bisogna filmare i bambini con maggiore rispetto di qualsiasi altra cosa e ancora che la macchina da presa non ha più importanza di una forchetta".  Mi fa cenno che deve andare. La nostra conversazione purtroppo si deve concludere. "Quanto tempo ci rimane?" gli chiedo. E lui con il suo solito sorriso malinconico: "Fosse per me non me ne andrei mai, lo capisce bene. Ma devo tornare...". Un attimo ancora. Truffaut srotola le maniche della camicia bianca candida interrotta dall'azzurro della cravatta, afferra la giacca, la poggia su una spalla. Mi stringe la mano, i suoi occhi fissano un punto lontano, indecifrabile, poi sorride di nuovo e mima con il movimento delle mani il giro di manovella di una macchina da presa. "Non sia triste, le assicuro che a mio modo continuo a girare i miei film. Mi spiace soltanto non poter vedere il cinema di domani...". Il film di domani. Ecco cosa non avevo ancora chiesto a François Truffaut. Come sarà, per lui e per tutti noi, il film di domani? "Il film di domani sarà un atto d'amore". E se ne va. E non ho neanche il tempo di abbracciarlo. Ha lasciato una foto sul divano. Sul retro, una frase: "La realtà è sempre fiabesca". Firmato François Truffaut.