"Ho fatto questo film per amore e perché volevo lavorare con Zwick", confessa Daniel Craig presentando a Roma il suo ultimo film, Defiance (dal 23 gennaio in 200 sale distribuito da Medusa), in cui l'attore inglese ha smesso i panni (e il ricco cachet) di James Bond per diventare Tuvia Bielski, capo della resistenza ebraica dell'Europa Orientale durante l'occupazione nazista. Una storia finora poco conosciuta, che racconta la Seconda Guerra Mondiale e il dramma dell'antisemitismo attraverso gli occhi dei perseguitati che hanno avuto la possibilità di reagire. Non si tratta dunque di un film di genere, assicura il regista, Edward Zwick, attento a qualsiasi confronto con la situazione odierna: "Quelle persone sapevano di poter morire da un giorno all'altro. Affrontavano un genocidio e non è quello che sta accadendo ora in Medio Oriente. Sappiamo di altri episodi simili nel mondo, come nel Darfur, in Bosnia e in Rwanda, ma lo spirito degli ebrei che hanno combattuto durante il periodo dell'Olocausto è lo stesso dei 6 milioni di persone che non ce l'hanno fatta". Certo, ci sono dei collegamenti "sia col presente che con il passato: l'immagine di tante persone costrette a fuggire da un posto all'altro, portando con sé i loro pochi averi, rimanda tanto alla Diaspora quanto ai profughi di oggi", ma senza nessuna ambizione a parlare d'attualità. "La complessità di ciò che sta avvenendo richiede un approfondimento che non ha nulla a che vedere con la tendenza riduzionistica della rappresentazione cinematografica. Quello che i film possono fare - assicura invece Zwick - è raccontare la Storia ai giovani", soprattutto adesso che i testimoni diretti della Seconda Guerra Mondiale sono sempre di meno. Anche secondo lo 007 dagli occhi di ghiaccio non è il caso di fare paragoni con il presente. Per Craig, Defiance parla delle "complicazioni della condizione umana" e ritiene "folle" pensare che i membri della resistenza guidata dai fratelli Bielski "avessero in mente uno stato ebraico indipendente". Ciò che lo ha interessato di questa storia - dichiara l'attore - è piuttosto "l'ambiguità morale" dei personaggi costretti alla lotta per la sopravvivenza, che lo ha messo difronte alla fatidica domanda "io cosa avrei fatto?". Un quesito che, tra l'altro, sembra aver affascinato molto di più i Paesi del vecchio continente. "Da un certo punto di vista - spiega Zwick - quest'opera è molto più europea che americana. Per produrla ci siamo rivolti alla Germania, alla Francia, all'Inghilterra, alla Spagna e anche all'Italia. Poi abbiamo trovato una grosso distributore disposto a portarlo negli Usa, ma sapevamo che a livello culturale avrebbe interessato molto di più i paesi d'oltreoceano". E poi, conclude il regista, si tratta di una storia nuova, che non si rifà a nessun modello cinematografico, neppure a Schindler's list: "Lì si parla di un cristiano che salva gli ebrei, qui di ebrei che salvano altri ebrei, ed è molto diverso".