Bess is back. La regina Elisabetta è tornata. Lunga parrucca rossa con i boccoli a ingentilire l'armatura da condottiera in sella a un destriero la cui criniera è stata cotonata per ben comparire nei fotogrammi e negli schizzi di qualche pittore/cronista di guerra. La sovrana guarda il cielo squassato dai lampi e il mare in tempesta dove si avanzano minacciose le navi della Armada spagnola del cattolico Filippo II di Spagna, deciso a distruggere il regno della protestante e vergine regina. Cate Blanchett indossa la collezione di parrucche e i bellissimi costumi, degni di una nomination al premio Oscar, con la precisione, la dedizione, la metamorfosi anatomica che ne fanno una delle attrici più sorprendenti e straordinarie del cinema contemporaneo. Non a caso è la donna/interprete che meglio di ogni altro (meritata la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia) afferra lo spirito e l'anima di un uomo, Bob Dylan, in Io non sono qui di Todd Haynes. Per il regista Shekhar Kapur, nato a Lahore nella British India negli anni Quaranta, la regina Elisabetta è una passione storica e una vocazione cinematografica. Figura complessa e maestosa gli appare, nel suo splendore, sovradimensionata rispetto alla vita. Personaggio, persona e personalità che evocano il mito e sollecitano la predilezione di Kapur per il cinema epico, per il kolossal "old fashion" nella composizione figurativa, nel lusso da esposizione delle sequenze e nei tempi del racconto. Nei titoli di coda si segnala un prestito da La figlia di Ryan di David Lean. Storie votate all'eccesso figurativo e mélo tipiche dei generi della metà del Novecento, percorse, però, repentinamente da accensioni, da nodi emotivi, da fragilità svincolati dall'avvicendarsi dei secoli. Elizabeth - The Golden Age (verrà presentato alla Festa del Cinema di Roma) è il secondo capitolo di un'agognata trilogia dedicata alla regina d'Inghilterra, immaginata da Kapur. Il regista ha voluto che fosse di nuovo Cate Blanchett a scivolare morbidamente nella pelle di Elisabetta, come aveva già fatto magnificamente nel 1998 con Elizabeth (interpretazione con la quale l'attrice aveva vinto l'Oscar). A distanza di quasi dieci anni la Blanchett resta sublime e affronta il ruolo come se fosse al suo primo incontro con il personaggio. Non imita se stessa e non si appoggia alle effimere certezze di una perfomance riuscita e importante per la sua carriera. Le sue vibrazioni, i suoi scatti nervosi, i suoi smarrimenti, i suoi momentanei cedimenti, i suoi desideri trattenuti e traslati sono una tela leggera e resistente che sostiene tutto il film. Un film con una messa in scena fastosa e ondivaga e con una pletorica eterogeneità stilistica. La protagonista riesce sempre a governare la vicenda con la stessa abilità con cui governa, nella storia, il suo Paese. Aiutata in questa impresa dagli altri attori. Nel cast ci sono anche Rhys Ifans e Geoffrey Rush nella parte di Sir Francis Walsingham. Su tutti svetta Samantha Morton. Una Maria di Scozia che diventa indimenticabile nonostante le poche scene previste dal copione. Sorrisi abbozzati, sguardi raggelanti, gesti secchi, in questo sequel, Elisabetta si prepara alla guerra con la Spagna, forte di un numero imponente di navi e soldati, e mentre cerca di salvare il suo trono e di garantire al suo popolo un lungo periodo di prosperità e di pace si innamora, alla sua maniera, di un avventuriero, di un "pirata" di mare e di cuori, Sir Walter Raleigh (Clive Owen dice le battute e sorride pensando ad Errol Flynn). La sceneggiatura, la colonna sonora, le eccentriche scene di corte e la bella sequenza della battaglia navale confermano che la "golden age" che Kapur custodisce nella sua memoria visiva è quella dell'adorata e fiera Regina e quella dei drammi storici, delle spettacolari fiction, regali di una Hollywood diventato un relitto nel fondo del mare come i vascelli dell'invincibile Armada.