"Il cinema indipendente non esiste più. Il braccio armato delle major ha invaso ogni spazio". Willem Dafoe spiega con un'accusa la sua partecipazione a In ostaggio, thriller con Robert Redford ed Helen Mirren, realizzato in assoluta economia di mezzi. Nel film, in uscita domani, Dafoe è un uomo qualunque che, spinto dalla perdita del lavoro, tenta di risolvere i propri problemi sequestrando il personaggio interpretato da Redford: "Il fatto che il progetto avesse il suo avallo era per me già una garanzia - dice -. E' una delle ultime icone di un modo di fare cinema che negli Stati Uniti non trova più spazio".  Affidato all'esordiente Pieter Jan Brugge, il film è stato girato senza truccatori, costumisti e troupe di supporto, con lunghe riprese effettuate nei boschi e un'illuminazione quasi sempre naturale e precaria. "Quello che mi ha colpito di più - spiega l'attore - è stato il coraggio dimostrato da Redford nell'intraprendere un progetto così rischioso". Un ritorno alla semplicità, come lo chiama, contrario a tutti i vezzi e le consuetudini che ci si potrebbero attendere da una star come lui.
A Hollywood, accusa Dafoe, è scomparsa la fascia intermedia delle produzioni: "I grandi sono sempre più grandi e i piccoli sempre più piccoli. L'accezione commerciale del cinema ha aperto un abisso e il divario è destinato a crescere ancora". Anche per questo, spiega, ha accettato senza esitazioni la partecipazione a In ostaggio: "Un film nella sua struttura semplicissimo e apparentemente di genere, che invece nasconde una miriade di dettagli e di rimandi a questioni di portata esistenziale". Il sequestro diventa così un pretesto per analizzare la vita nel suo complesso, dalla prospettiva dei cinquantenni di oggi. Più che un thriller, dice Dafoe, In ostaggio è quindi "la storia di tre persone a confronto con le proprie ambizioni, il racconto dei sacrifici che hanno sopportato per raggiungere la loro posizione e la fotografia del destino che attende vincitori e vinti". Personaggi completamente diversi, lui e Redford incarnano due opposte icone del successo e dell'insuccesso. Il bilancio finale è però amaro per entrambi: "Un fallimento personale che non incarna soltanto il fallimento del sogno americano, ma di quello di tanti altri paesi".
Alla ribalta nel 1986 con Platoon, da allora Dafoe ha interpretato oltre cinquanta film. L'ultima volta al cinema in Spider-Man 2,  tornerà il prossimo anno sugli schermi con ben quattro titoli. "Il segreto del mio successo? La costanza - risponde -. Sono riuscito ad andare avanti e a lavorare, in quella zona grigia che sta tra la popolarità delle star e l'oblio degli sconosciuti". Eclettico nella scelta dei generi, dice però di ricercare le sfumature: "I miei cattivi non sono mai stati a senso unico. Ho affidato a loro il mio desiderio di sfidare la morale comune, dimostrando che il confine tra bene e male non è affatto così netto". A gennaio con un cameo in The Aviator di Scorsese, Dafoe tornerà poi sugli schermi accanto a Bill Murray in Acquatici lunatici di Wes Anderson, nel thriller Control e nel sequel dell'action xXx con Samuel L. Jackson. Da poco terminate le riprese di Manderlay per Lars von Trier, ha completato con la fidanzata Giada Colagrande la sceneggiatura di un film che lei stessa dirigerà e di cui saranno entrambi protagonisti. Titolo e trama ancora top secret, Dafoe assicura però un'uscita nel 2005.