Coperture, insabbiamenti, corruzione della giustizia. E tutto a danno dei consumatori. Al terzo giorno di Mostra, a sferrare il duro attacco all'universo delle corporation è ancora una volta il paladino George Clooney. Barba incolta e completo nero, con camicia dello stesso colore aperta sul petto, il divo impegnato di Syriana e Good Night and Good Luck torna in concorso con un'accusa in thriller al dietro le quinte del sistema capitalistico occidentale. Affiancato da Tilda Swinton e Sydney Pollack, sullo schermo è Michael Clayton, ambiguo avvocato senza scrupoli, che dà il titolo all'opera prima di Tony Gilroy, nelle sale dal 5 ottobre. Suo principale compito è sbrigare il lavoro sporco per un grande studio legale: lavorare cioè all'ombra dei riflettori, per risolvere i problemi più spinosi e politicamente scorretti. A metterlo in crisi e dare inizio alla storia è un compromettentissimo documento, che rischia di far perdere al suo studio una causa da milioni di dollari, mettendo in luce una colossale frode, costata la vita a centinaia di consumatori. "Viviamo in un periodo storico - dice Clooney - in cui l'America e molti altri paesi confondono democrazia e capitalismo. Si tratta purtroppo di una dinamica a cui non sfugge neanche il cinema: gli stessi studios devono rendere conto alle corporation e trovare spazi è sempre più difficile".

Come già in passato, a guidare Clooney nella scelta del ruolo è la fiducia incrollabile nella forza del cinema: "E' stato utilizzato per istigare guerre, orientare la politica estera, sradicare il razzismo, affermare i diritti delle donne. Uno strumento che nel tempo ha sicuramente contribuito a cambiare il mondo. Più che una guida, lo considererei però uno specchio della società". Quella che riflette il film è in particolare la sala macchine dei grandi studi legali americani. Luoghi, come sottolinea Gilroy, dove intere squadre sono al servizio dell'insabbiamento e della copertura sistematica: "C'è però poco da meravigliarsi - dice il regista -. Ogni grande multinazionale è composta da uomini: persone che come Michael Clayton che si limitano a fare il loro lavoro e finiscono per rimanere schiacciate dall'ingranaggio". La vicenda, che prende spunto da un fatto realmente accaduto, ricalca parzialmente una celebre causa intentata negli anni '70 contro la General Motors. Oggetto del contendere era stata allora un'analisi del rischio, che la compagnia aveva per anni occultato, in cui un perito metteva in guardia da un letale difetto di fabbricazione delle loro auto.

Il fulcro del film, dice Clooney, affonda le radici nel profondo cambiamento messo in moto dall'11 settembre: "La sceneggiatura era già stata scritta prima, ma negli ultimi anni quello della verità è diventato un tema sempre più urgente". Una ricerca, e una lotta allo strapotere delle multinazionali, di cui il divo ha fatto un vero e proprio cardine delle sue scelte artistiche e professionali: "A questo si deve anche il mio divorzio da Soderbergh. Siamo amici e continuiamo a lavorare insieme, ma con la Section 8 stavamo per diventare parte del meccanismo contro cui volevamo scagliarci. Eravamo arrivati al punto in cui passavamo il tempo a gestire l'azienda, invece di fare film". Proprio da questo Clooney dice invece di voler fuggire e proprio per questo alterna progetti indipendenti a grandi successi commerciali: "Non voglio diventare una multinazionale ma fare cinema. L'unico modo per riuscirci è accettare film come Ocean's 13: una sorta di carta di credito, che mi consente poi di reinvestire e dedicarmi a film come Michael Clayton". "Nessuno - conferma subito Gilroy - avrebbe mai dato credito al film se non ci fossero stati l'impegno e il nome di George. Siamo riusciti a lavorare in grandissima libertà creativa, ma il prezzo da pagare è stata una rigidissima autodisciplina". In prima linea lo stesso Clooney, che pur non partecipando economicamente al film, ha però rinunciato al proprio compenso.

Senso del Michael Clayton, riassume infine il regista, è quello di inquadrare lo smarrimento etico e morale dell'America d'oggi. "Non riuscirei a raccontare una storia partendo dalle tematiche generali. Mi sarebbe impossibile affrontare qualsiasi tema, senza focalizzarmi sulle vicende umane. Due, e strettamente correlati, sono stati i punti di partenza del film: illustrare il lavoro sporco che avviene dietro le quinte dei grandi studi legali e il personaggio di Michael Clayton. E' al suo sguardo, e a quello degli altri protagonisti, che ho affidato la denuncia del film". Emblematico, accanto a Clooney, il responsabile dell'ufficio legale interpretato da Tilda Swinton. Una rampante avvocatessa, trascinata anche lei dalla situazione in una profonda crisi di coscienza: "Ad affascinarmi nel personaggio - dice l'attrice - è stato l'approccio che permea tutta la storia. Quello che Gilroy fa è concentrarsi sulla catena di comando e interrogarsi sulle perversioni del potere, ma sempre partendo dall'illustrazione della vicenda e del dramma umano di chi ne resta coinvolto".