"Il personaggio di Lisbeth Salander piace alla gente perché è una 'underdog', ma a differenza di tanti nella sua condizione, è una che non molla mai, non cede, non rinuncia. In un certo senso è una vittima, ma non si autocommisera e cerca di reagire alle violenze, arrivando a gestire le varie situazioni: a differenza del libro, però, sullo schermo abbiamo cercato di renderla meno simile ad un 'supereroe', da un certo punto di vista più credibile". Parola di Noomi Rapace, attrice chiamata ad interpretare quella che da più parti è stata considerata "l'icona letteraria" del nuovo millennio, Lisbeth Salander appunto, abilissima hacker e coprotagonista del giornalista Michael Blomqvist (interpretato da Michael Nyqvist) di Uomini che odiano le donne, primo capitolo della trilogia Millennium dello svedese Stieg Larsson (morto nel 2004), fenomeno editoriale da 10 milioni di copie nel mondo, ora diventato film per la regia di Niels Arden Oplev, distribuito in Italia da Bim con 450 copie a partire da venerdì 29 maggio.
"Tanto nel romanzo come nel film - racconta il regista - quello che emerge è l'importanza della memoria, del passato e del modo in cui la Svezia si rapportò con la Germania nazista, tutti elementi che finiscono per influenzare i tempi moderni e il presente dei vari personaggi. Quello che cercavamo, comunque, era mantenere bene in evidenza il messaggio politico, ovvero che la società contemporanea, ancora caratterizzata da forme di potere patriarcali, è crudele nei confronti delle donne". 
Concepita inizialmente dall'autore come opera in 10 libri, Millennium (le trasposizioni del secondo e del terzo capitolo, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta, saranno nelle sale italiane rispettivamente il prossimo autunno e nella primavera del 2010) arriva sullo schermo grazie alla tenacia del produttore Sören Staermose, capace di assicurarsi i diritti della trilogia ben prima che la stessa raggiungesse la notorietà: "Nel 2005 ancora non era esploso il fenomeno - dice il produttore - solamente durante le riprese del primo film abbiamo iniziato ad accorgerci dell'interesse crescente a livello internazionale e poco a poco abbiamo cominciato a capire che all'aumentare delle pressioni dovevano per forza di cose aumentare sia il tempo sia i soldi per realizzare il film". Che, a quanto pare, inizialmente Oplev aveva rifiutato di girare: "Quando Staermose venne da me la prima volta gli dissi di no - racconta ancora il regista -. Stavo finendo di scrivere la sceneggiatura di un film sui testimoni di Geova e, oltretutto, non avendo letto i libri di Larsson credevo si trattasse dei soliti thriller: un anno e mezzo dopo, quando il produttore è tornato alla carica, ho letto il romanzo e mi sono reso conto che oltre all'impianto di suspense era molto approfondito anche il dramma, elemento secondo me imprescindibile per poter fare un buon film, imperniato soprattutto su emozioni vere e su questioni che affliggono la società. Alla fine, credo che avremmo potuto realizzare il film in mille altri modi, magari anche con la macchina a spalla, quello che contava era girarlo pensando sempre all'ottima qualità di ogni singola inquadratura, cercando in ogni momento il lavoro di squadra con gli attori per rendere il prodotto finito all'altezza delle aspettative". Elevatissime, soprattutto per i numerosi fan dell'opera di Larsson: "E' vero - conclude Noomi Rapace - ma durante la lavorazione del film abbiamo deciso di ignorare le pressioni derivanti dalle aspettative, anche perché non potevamo ogni giorno concentrarci sul lavoro e pensare contemporaneamente 'Ehi, dobbiamo fare un film di successo!'. Quello che serviva era cercare le energie necessarie e focalizzarci sul cuore di ciò che stavamo realizzando".