Luogo di scoperta e di sperimentazione, la Qinzaine des realisateurs è divenuta col tempo ben più di una rassegna collaterale. Registi come Sofia Coppola o Carlos Reygadas sono stati lanciati da questa rassegna voluta 38 anni fa dall'associazione dei registi francesi. Nel linguaggio del teatro si chiamerebbe un festival off, nel senso che qui vengono raggruppate le opere che non trovano posto nel cartellone ufficiale. Spesso questo non è un male. La selezione curata da Olivier Père da un paio di anni sembra aver accentuato il carattere di ricerca, privilegiando quelle opere che per il loro stile o soggetto si situano ai margini dello spettro cinematografico. Insieme ad Anche libero va bene, debutto alla regia di Kim Rossi Stuart dato tra i favoriti di questa edizione, film d'animazione (come il discutibile Princess, produzione danese che guarda allo stile dei manga) e opere antinarrative (il contestato Daftpunk's Electroma) convivono con film di genere dal forte impatto adrenalico (vedi l'horror coreano Host) o dalle apparenze più tradizionali (il convincente film tedesco Sommer 04). Tra queste capita anche di trovare l'ultimo film di un grande maestro come William Friedkin, ancora capace di sorprendere e intrigare. Bug, storia di follia tratta da una pièce teatrale, è una discesa agli inferi compiuta da una donna (interpretata da una impressionante Ashley Judd, ingrassata e imbruttita per l'occasione). L'incontro con un uomo misterioso ossessionato dalla presenza di insetti invisibili introduce il racconto verso una spirale ossessiva che stigmatizza le fobie dell'uomo moderno viste nel clima di guerra latente in cui viviamo. Con pochi tratti e con un montaggio implacabile Friedkin predispone un dramma in cui la camera di un motel diventa un perfetto spazio mentale. Completamente diverso è invece l'appeal di Azur et Asmar, il nuovo racconto di Michel Ocelot (il regista di Kiriku). Confrontato con la sfida del 3D, Ocelot non rinuncia alla sua passione per le geometrie e i colori: Azur et Asmar è un'opera da gustare con gli occhi prima che con lo spirito. Il racconto dei due ragazzi (l'uno europeo, l'altro arabo) animati dallo stesso spirito d'avventura (liberare una fata da un castello fatato) è il pretesto per mettere in scena un mondo fantastico, dove le violenze della contemporaneità vengono smussate dalla soavità del disegno. La visionarietà di Ocelot è poi a briglia sciolta quando il racconto abbandona il mondo della città per affondare nel universo della fiaba. In un contesto popolato da film tristemente realistici incontrare un'opera cosi'libera e positiva nello spirito appare allora come una salutare boccata d'ossigeno.