"Ho passato buona parte della mia vita a spiegare a mio padre perché ho passato buona parte della mia vita davanti a un muro". Questa frase, citata da Mario Sesti ma scritta da Morandini nello stile Morandini, dice tutto del grande critico scomparso qualche giorno fa, collaboratore storico della Rivista del Cinematografo. Dice innanzitutto della capacità di essere pungente, dissacrante e ironico su tutto, pure riguardo a se stesso. Dice del gusto letterario per la scrittura, un abito dismesso da molta critica di oggi. Dice poi dei due grandi capisaldi della sua vita: la famiglia e il cinema.  "Dopo la morte di Laura, sua moglie, temevo potesse crollare. Invece si è dedicato con un'energia ancora maggiore al grande amore della sua vita, il cinema. Lo trovavo spesso di notte, con una sigaretta in bocca, a volte due, mentre ticchettava sulla sua macchina da scrivere", racconta la figlia Lia, nota costumista del cinema, durante la breve commemorazione tenutasi oggi alla Festa di Roma: "E' stato un uomo schivo, anche con noi figli - ha continuato Lia Morandini -. Questo ci ha fatto soffrire un po'. Parlava poco ma scriveva molto. Ho ricevuto la sua prima lettera all'età di dieci anni e l'ultima all'inizio di quest'anno in cui mi raccontava tutta la sua rabbia per non essere ancora morto. Voleva andarsene già nel 2014."

In un'intervista ad Antonio Gnoli su Repubblica, l'ultima concessa da Morandini, si definiva "un vecchio egoista che si sorprende a vedere la gente che gli vuole bene". Si riferiva in particolare a una serata dedicata in suo onore all'Anteo di Milano dove era stato accolto da un minuto di applausi: "Lei lo sa - aveva detto a Gnoli - quando dura un minuto? Tantissimo. Non sapevo in quel momento se essere contento o vergognarmi".

"Morando era molto dolce nel privato e molto severo sul lavoro", ricorda Paolo Mereghetti, per anni "concorrente" di Morandini nella guerra dei dizionari: "Ma tra di noi - confessa il critico del Corriere - c'era solo stima e amicizia. Ci scambiavamo sempre i nostri dizionari e in molte schede io citavo lui e lui citava me". Rapporto di lunga data il loro: "Mi aveva insegnato tutto, eravamo entrambi di Milano e a metà degli anni '70 mi aveva voluto come suo vice al Giorno. Era una persona generosa. Una volta, in un momento sentimentalmente poco felice per me, mi diede ospitalità per un mese. Spesso mi parlava con affetto delle ricette di sua moglie Laura. Restavo basito tutte le volte che mi raccontava di come facesse il risotto con la pentola a pressione. Una volta l'ho assaggiato: era buono". Sul lavoro invece era meno morbido: "Era di un rigore unico. Alcune sue recensioni erano dure e i registi che sono stati stroncati da lui lo ricordano ancora. Una volta ricevette anche una denuncia per una sua bocciatura di Scipione detto anche l'Africano".  Lungi dall'essere però un acidissimo bacchettone, "Morando - continua Mereghetti - metteva sempre il film, anche il più brutto, davanti al critico. Non aveva preconcetti ideologici e ci ha insegnato ad aprire gli occhi sul nuovo. In un'epoca di tensioni ideologiche come gli anni '70 venne anche attaccato da Cinema Nuovo perché difendeva Nicholas Ray".

"Un uomo che amava profondamente le donne ", è il ricordo di Piera Detassis, Presidente Fondazione Cinema per Roma. Tanto "da dedicare al cinema femminile un intero dizionario. Io ne ho una copia autografata", puntualizza Laura Delli Colli, Presidente SNGCI.

L'attenzione ai giovani, al nuovo, la curiosità sempre viva, sono le caratteristiche che più gli riconoscono Roberto Silvestri e Fabio Ferzetti. Anche a costo di sbagliare. Ricorda il direttore della Festa di Roma, Antonio Monda: "Pochi lo sanno, ma 25 anni fa ho fatto un film da regista che venne presentato anche alla Mostra di Venezia (Dicembre, ndr). E' stato il più grande insuccesso nella storia del cinema italiano. Ebbe però due difensori: il critico di Le Monde e Morando Morandini. Che scrisse: Sono pronto a scommettere dei soldi sul futuro registico di questo autore".

La visione di Je m'appelle Morando - Alfabeto Morandini, il documentario che l'amico Daniele Segre gli ha dedicato, conclude una celebrazione molto informale: "Come sarebbe piaciuta a lui - ricorda Segre -. Manca solo il buon vino". Il brindisi è solo rimandato: a Morando Morandini, con affetto.