Mai come quest'anno l'ombra della morte aleggia sull'ottima selezione del festival di Cannes. Più esplicita in alcuni casi, il bel Restless di Gus Van Sant e in Halt auf freier Strecke di Andreas Dresen. Intesa come alienazione e perdita di identità nel semidocumentario Arirang di Kim Ki-duk.
Per restare nella sezione parallela Un certain regard, la morte diventa simbolica nel potente iraniano Au revoir di Mohammad Rasoulof, arrestato con Jafar Panahi nel 2010, per opere invise al governo. Quella di un'intera civiltà schiacciata dalle contraddizioni del regime totalitario. Un pugno nello stomaco, un film da non perdere. La musica non cambia nella competizione ufficiale: a partire da Sleeping Beauty di Julia Leigh, dove la giovane Emily Browning può affrontare qualsiasi cosa tranne il sonno eterno. Un'ossessione rosso sangue per la bravissima Tilda Swinton, madre maledetta in We Need to Talk About Kevin di Lynne Ramsay; un'esecuzione sospesa ma prevedibile per il pedofilo Michael, dell'esordiente Markus Schleinzer, già assistente alla regia di Michael Haneke.
Presagio incombente nel Ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne, a cui però viene donata una seconda opportunità; grande incognita dell'esistenza umana, nel capolavoro di Terrence Malick. "Fratello, madre vi sto raggiungendo" sussurra Sean Penn al cielo, agli alberi, a Dio, al mistero dell'universo in The Tree of Life. Non siamo altro che una tacca, un puntino, nel disegno della vita, dice Mia Wasikowska a Henry Hopper, chiudendo in bellezza i soli tre mesi di felicità che le sono stati concessi.