Lo hanno definito l'attore britannico più grande di tutti i tempi, anche più grande di Laurence Olivier, ma "se smettessi di recitare domani - dice - il mondo diventerebbe addirittura un posto migliore". E' ironico solo a metà Anthony Hopkins che, alla soglia dei 70 anni, di cui 40 passati davanti alla macchina da presa, e un Oscar vinto per la sua interpretazione di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti, ammette "di non prendere più sul serio il suo mestiere da diverso tempo" e di essere stato "salvato dalla pazzia" proprio grazie a questa sua nuova filosofia di vita. "Ho conosciuto gente che oggi non c'è più, come Marlon Brando, che non riusciva a dimenticare i propri trascorsi gloriosi, persone tristi e miserevoli che volevano a tutti i costi essere ricordate dal mondo intero senza rendersi conto che quest'ultimo va avanti benissimo anche senza di noi" dice l'attore, da oggi nelle sale italiane con Proof, il film di John Madden, presentato in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, nel quale recita nel ruolo del padre di Gwyneth Paltrow, un geniale matematico che, dopo avere effettuato scoperte incredibili nel suo campo, soccombe alla schizofrenia e ne rimane vittima fino al giorno della sua morte. "Dopo un po' di tempo - continua - se un attore non prova altri interessi nella vita rischia di impazzire, soprattutto se recitare diventa un'ossessione. Io mi ritengo fortunato perché una decina di anni fa ho deciso di distaccarmi un po' dalla mia attività cinematografica. Ho avuto una sorta di rivelazione mentre facevo lezione a un gruppo di studenti dell'UCLA (l'università della California, n.d.r.). Dicevo loro che la cosa migliore per imparare a recitare è guardare i vecchi film, quelli con grandi attori come Robert Mitchum, Bette Davis e Spencer Tracy, quando mi sono reso conto che non avevano la più pallida idea di chi stessi parlando. Perché erano vecchi, andati, dimenticati. Ed è giusto così. E' stato un risveglio e ho capito che nulla di tutto questo ha importanza. In fondo non pratichiamo neurochirurgia generale, non siamo in cerca di una soluzione contro la carestia e non occorre essere dei geni intellettuali per fare l'attore". Hopkins ammette anche di essere stato sul punto di smettere di recitare, a fargli cambiare idea è stato proprio Proof. "Ho considerato questo film una sfida interessante - spiega -. Quando il mio agente mi ha fatto leggere la sceneggiatura ho subito desiderato interpretare un personaggio così affascinante e di quelli che non capitano spesso. Inoltre mi piaceva l'idea di lavorare con un regista come Madden e con bravi attori come la Paltrow e Jake Gyllenhaal. Sceneggiatura, regista e attori. Sono questi gli elementi che prendo in considerazione quando devo decidere se accettare o meno un ruolo. Non importa se si tratta di una grossa produzione hollywoodiana o di un film indipendente". E un regista con il quale vorrebbe lavorare è Clint Eastwood: "Mi piace il suo modo di fare cinema - dice -. Lo considero una persona estremamente intelligente, veloce ed essenziale. Ha lavorato con i più grandi e da loro ha appreso quel modo vecchio stile di gestire le riprese, senza perdere tempo, con uno o massimo due ciak per scena e senza tante pretese". Il prossimo film in cui lo vedremo dopo Proof, sarà Indiano - La grande sfida di Roger Donaldson, in uscita il 7 aprile. Ma sono tanti in progetti in cantiere: da poco ha terminato le riprese del remake di All the King's Man e attualmente si divide tra il set di Bobby di Emilio Estevez sull'assassinio di Robert F. Kennedy e il thriller Fracture di Gregory Hoblit. Poi girerà Papa, nel quale vestirà i panni di Ernest Hemingway, e Beowful di Robert Zemeckis.