La vera storia di re Artù, ammesso che una vera storia esista, diversamente da quello che tutti hanno sempre pensato non ha origine tra le nebbiose foreste della Bretagna. No, niente da fare. La vera storia di re Artù ha origine in un pomeriggio, probabilmente piovoso, a Hollywood. In una di quelle giornate dove tutto prende la piega sbagliata, e solo qualche anno fa. Nel suo ufficio un celebre produttore, Jerry Bruckheimer (La maledizione della prima luna), scorre i numeri e le percentuali degli incassi, a quel tempo dominati da Il gladiatore. Il "producer"  è incupito, e si confida con il suo amico Antoine Fuqua, uno che ha fatto vincere l'Oscar a Denzel Washington per Training Day e ha fatto recitare Monica Bellucci in Tears of the Sun. Nello stesso istante, quella stessa lista piena di dollari e di zeri scorre sotto gli occhi dei capi della Disney. Anzi, della Buena Vista. E l'umore, in una delle più buie, fredde e piovose giornata  della California, precipita. Poi, l'idea geniale: bisogna fare un nuovo Gladiatore! No, non nel senso di resuscitare Russell Crowe in gonnellino e peplum. Ma nel senso di fare qualcosa capace, come Il gladiatore, di lasciare il segno. Almeno in quella maledetta classifica degli incassi! E chi se non Artù poteva brandire la spada più efficacemente del generale Massimo di Ridley Scott? Venuta l'idea, il più è fatto. Bruckheimer, Fuqua e la Disney partono a razzo e, per arrivare dritti alla meta, chiamano David Franzoni: lo sceneggiatore de (oops!) Il gladiatore. Detto, fatto: Artù non è più un cavaliere medievale, Merlino non più un potente stregone, Ginevra non più una donzella incline a perdere la testa per l'eroe, Lancillotto non un campione su un cavallo bianco. Sono tutti soldati originari dell'est europeo e impegnati sul fronte più settentrionale dell'impero romano, questa volta sì la Bretagna, ormai in disfacimento. Anche Camelot non è nei cuori dei nostri eroi, con Artù che sogna invece il "buen retiro" in una Roma che immagina mitica. Merlino e Ginevra, poi, animano la resistenza locale. Però c'è la tavola rotonda, ci sono i duelli, l'amicizia, l'onore. E pazienza se al fianco di Lancillotto cavalca Tristano, ma di Isotta non vi è traccia. Tanto, in fondo, che Artù fosse un cavaliere bretone nel medioevo è accertato almeno quanto lo è questo "pedigree" immaginato sulla colline di Los Angeles. E allora King Arthur non tradisce. Clive Owen-Artù è abbastanza tenebroso da "acchiappare" almeno quanto Russell Crowe, Ioan Gruffudd non sarà celebre come Richard Gere ma come Lancillotto non gli è certo secondo e Keira Knightley-Ginevra ha ormai (giustamente) la sua nutrita schiera di fan. Manca Excalibur, ma quella è un'altra storia, magari buona per un sequel.