“Una storia esagerata, incentrata su una specie di dismisura affettiva. Oggi come oggi c’è una sorta di prudenza, di timore, di confidarsi alla luce di quel per sempre, locuzione avverbiale che abbiamo un po’ cancellato ma che negli anni ’50 era ben presente, nelle relazioni, con gli oggetti, nelle canzoni. Anche se la ragione ti richiamava al fatto che era impossibile, per un attimo ci credevi, e davi quel senso di immortalità alla tua vita che è al centro di questo film”.

Pupi Avati presenta la sua ultima fatica, Lei mi parla ancora, che lunedì 8 febbraio alle 21.15 sarà trasmesso in prima assoluta su Sky Cinema e in streaming su NOW TV.

Haber, Sandrelli, Pozzetto e Avati sul set del film

Scritto e diretto dal regista emiliano, che adatta il romanzo omonimo di Giuseppe Sgarbi (sceneggiatura firmata da Avati insieme al figlio, Tommaso), il film Sky Original è una co-produzione Bartlebyfilm e Vision Distribution in collaborazione con la Duea Film, prodotto da Antonio Avati, Luigi Napoleone e Massimo Di Rocco per Vision Distribution e Bartleby film in collaborazione con Duea Film.

Lei mi parla ancora è una storia che si fonda sull’assenza, nella convinzione che non esista chi è più presente dell’assente” – dice ancora Avati, che sulla realizzazione del film aggiunge: “L’affettività è il fil rouge che lega ogni fotogramma, e questa cosa ha avuto un effetto terapeutico su ciascuno di noi. Ci ha migliorati rispetto a prima”.

Antonio e Pupi Avati

Il film arriva direttamente nelle case senza passare dagli schermi cinematografici, ancora spenti per l’emergenza COVID: “Siamo molto orgogliosi di aver convinto Pupi ad essere con noi. La capacità di raccontare delle storie è la caratteristica principe del cinema italiano, e questo film ne è la dimostrazione migliore. Sarebbe stato un peccato congelarlo nell’attesa della riapertura delle sale: chi fa il nostro lavoro deve evitare la disabitudine del pubblico a rapportarsi a film di questo tipo”, dice Nicola Maccanico, CEO di Vision Distribution ed Executive Vice President Programming di Sky, che aggiunge: “Il cinema godeva di ottima salute prima della pandemia, la mia sensazione è che dobbiamo affermare la diversità della sala, non arroccarci sull’esclusività del modo in cui si può vedere un film. Anche perché, ne sono convinto, l’esigenza di comunità, di poter rivedere un film tutti insieme, dentro una sala, tornerà fortissima”.

Per Pupi Avati però “bisognerebbe ricreare le condizioni tali affinché le persone si ricordino di quanto fosse bello andare al cinema, perché temo sarà molto complicato, un domani, ripristinare quel senso di necessità della sala cinematografica, soprattutto alla luce del fatto che il periodo di chiusura si sta prolungando in modo molto grave.

Tornando al film, Nino e Caterina (Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli) sono sposati da sessantacinque anni e si amano profondamente dal primo momento che si sono visti. Alla morte di Caterina, la figlia (Chiara Caselli), nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita della donna che ha amato per tutta la vita, gli affianca un editor con velleità da romanziere per scrivere, attraverso i suoi ricordi, un libro sulla storia d’amore fra Nino e Caterina.

Chiara Caselli in Lei mi parla ancora

Amicangelo (Fabrizio Gifuni), scrittore che ha alle spalle un divorzio costoso e complicato, accetta il lavoro solo per soldi e si scontra immediatamente con la personalità di Nino, un uomo profondamente diverso da lui.

Ma, poco a poco, Amicangelo riuscirà ad entrare nel mondo di Nino fatto di ricordi vividi e sentimenti pulsanti. Nino, anche dopo la scomparsa dell’amata Caterina riesce ancora a comunicare con lei, a sentirla accanto a sé ogni giorno. Amicangelo si avvicinerà sempre di più al mondo ricco di pensieri, di amore, di emozioni che Nino tenta di conservare gelosamente.

Nascerà così tra i due uomini una complicità sincera che porterà Nino a fidarsi del suo editor e a raccontargli i suoi pensieri più profondi. Amicangelo, dal canto suo, imparerà quanta ricchezza nella vita di un uomo può portare un sentimento così profondo e inattaccabile.

“L’idea di immortalità mi accompagna sempre più spesso, una persona della mia età si sveglia la mattina convinta di avere 14 anni, dopo dieci secondi col mio fisico recalcitrante mi ricordo che ne ho 82. A muovermi è il desiderio, l’illusione che ci possa essere qualcosa che vada oltre quei titoli di coda che intravedo”, spiega ancora Avati, che non teme il suo film possa risultare in alcun modo anacronistico: “È evidente che una storia d’amore così totalizzante seduce tutti, anche i giovani. So benissimo che può sembrare un concetto fuori dal tempo, ma sarebbe grave se ancora oggi i giovanissimi non pensino di poter stare tutta la vita con la compagna, il compagno che amano in un dato momento. Alla mia età penso di poter dire che conosco la vita abbastanza bene e non dimentico l’importanza che ha avuto l’illudersi: l’esistenza ha senso se sappiamo mentire a noi stessi, se sappiamo illuderci, se continuiamo a sognare, a non fare troppi conti con la ragionevolezza, tutte questioni che avevo già affrontato nell’autobiografia La grande invenzione (Rizzoli, 2013, ndr)”.

Come accadde nel 1996 con Festival, film nel quale Pupi Avati diresse Massimo Boldi nel suo unico ruolo drammatico, questa volta l’intuizione è quella di affidare all’80enne Renato Pozzetto (assente dalle scene da sei anni, Ma che bella sorpresa) le chiavi interpretative di un testo non semplicissimo da restituire con le immagini: “Quando Pupi mi ha telefonato ho chiesto subito di leggere la parte, dopo cinque minuti ero già commosso, ho provato sensazioni abbastanza forti – racconta l’attore –.  Ci siamo incontrati poi, ci siamo parlati, e gli ho confessato di sentire la coscienza a posto per poter interpretare quel ruolo. Vittorio ed Elisabetta Sgarbi mi hanno telefonato dopo aver visto il film, elogiando la mia prestazione. E da questo ho capito anche quanto fossero legati al loro papà. In fondo quello che volevamo restituire era ciò che si dice anche nel film, il senso di un’immortalità intesa come il ricordo che ognuno di noi porta con sé e quello che lascia agli altri”.

Fabrizio Gifuni e Renato Pozzetto in Lei mi parla ancora

Giocato senza soluzione di continuità tra il presente e il passato (anni ’50), Lei mi parla ancora vede Lino Musella e Isabella Ragonese vestire i panni di Nino e Rina da giovani: “Impresa ardua dover richiamare questi due personaggi così familiari, anche per il pubblico, come Pozzetto e la Sandrelli. Io e Lino raccontiamo il momento della promessa, l’inizio di tutto. L’indicazione di Pupi, con grandissima semplicità, è stata ‘ci credo o non ci credo’, e questo è stato il miglior modo per avvicinarci a loro da adulti. Essere Stefania è impossibile, perché è unica, quello che potevo fare era provare a riportare questa sua luminosità, riportare quel tipo di energia, tentare di imitarla sarebbe stato francamente inutile”, dice la Ragonese.

Mentre Musella racconta di come Avati gli abbia chiesto “di andare sul set a vedere come lavorava Renato Pozzetto: mi sono aggrappato alla sua dolcezza nel rendere questa sensazione di mancanza. Con Isabella c’è stata una grande intesa, un’affinità speciale nel modo di intendere il lavoro. La peculiarità di un regista come Pupi è quella di osservare ciò che sei, non necessariamente quello che fai”.

Uno scrutare al di là del personaggio ravvisato anche dal resto del cast: “Stranamente è stato il mio primo film con Pupi – dice Stefania Sandrelli –, mi ha colpito molto il fatto che durante le scene veniva sul set e mi guardava, da vicino, direttamente, non dal monitor. Ho avuto poche pose nel film, è vero, ma credo la cosa più bella del cinema sia proprio quella di portare a galla i non detti, le cose non fatte. E il dover rendere il senso di essere protagonista di una storia attraverso l’assenza è stata una sfida emozionante”.

Alessandro Haber, Stefania Sandrelli e Renato Pozzetto in Lei mi parla ancora

Per Fabrizio Gifuni, invece, il personaggio di Amicangelo rappresenta l’irruzione del contemporaneo in un mondo novecentesco, “che era un po’ anche la mia condizione di attore, con un piede nel presente e un altro nella meravigliosa testimonianza che il cinema di Pupi Avati continua a lasciare ai nostri giorni: tra le tante cose che il film riesce a portare con estrema semplicità, ed è una grandezza questa, c’è il saper raccontare cose complesse con una naturalezza di sentimenti ed emozioni difficilissima da trovare, oltre ad alimentare il grande omaggio alla lingua italiana, con il gioco della citazione della letteratura e della poesia, quello che vediamo spesso fare a Rino con il fratello, interpretato da Alessandro Haber”.

A completare il cast anche Serena Grandi (è la mamma di Rino da giovane), Nicola Nocella (è Giulio, uomo che vive nella casa di Rino, aiutandolo da sempre), Gioele Dix (l’agente di Amicangelo) e Matteo Carlomagno (il figlio di Rino).