Baby-squillo e streghe, fatine e criminalità e, sopra tutto, debiti. Nel ricco menù di Netflix, c’è spazio, e non angusto, per le produzioni originali italiane.

BABY

In corso le riprese della seconda stagione di Suburra, sul set è anche Baby, che trae spunto dal caso di cronaca delle giovanissime prostitute dei Parioli. Regia di Andrea De Sica e Anna Negri, nel cast Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Riccardo Mandolini, Isabella Ferrari, Claudia Pandolfi e Paolo Calabresi, la serie sterza dal dato di realtà per cercare la “trasfigurazione di ragazzi che cercano amore ma trovano trasgressione e si perdono. Vogliamo dare complessità e profondità ai teenager, cosa abbastanza insolita nel panorama nazionale”. Inesausto il milieu, “non quello basso-criminale alla Gomorra e Suburra, ma il dark side dei ricchi”, e lo stile, con “alcune riprese col telefonino affidate alle stesse ragazzine”, sull’esempio di Tredici si punta a “un close-up sugli adolescenti, oltre la claustrofobia di scuola e famiglia, senza indugiare troppo sul traffico del sesso”.

Formato seriale condiviso da Luna Nera, su un gruppo di donne accusate di stregoneria nell’Italia del XVII secolo: creata da Francesca Manieri, Laura Paolucci e Tiziana Triana, verrà prodotta da Fandango. Diversamente magico il registro di Winx Club: le fatine ideate da Iginio Straffi troveranno carne e ossa in una serie live action per giovani adulti.

Rimetti a Noi i Nostri Debiti

Ma c’è un titolo che incarna alla perfezione lo Zeitgeist di questo matrimonio che (non) s’ha da fare tra Netflix e il sistema cinetelevisivo italiano: Rimetti a noi i nostri debiti. L’accorata preghiera del nostro comparto al colosso dell’intrattenimento online? Certo che sì, ma c’è di più. La simmetria evangelica non è contemplata: quel “come noi li rimettiamo ai nostri debitori” significativamente latita. Uno scambio mancato, per volontà e responsabilità delle banche, su cui il regista Antonio Morabito ha costruito diegeticamente il film, scritto a quattro mani col produttore Amedeo Pagani, interpretato dai recuperanti (crediti) Claudio Santamaria e Marco Giallini. Come mai un’opera che parla – male, ma esiste alternativa? – di banche ed esazione non ha trovato distribuzione in sala? Domanda ineludibilmente, sfacciatamente retorica, posta a un sistema che sulle banche, con le banche e per le banche ci campa, e ci muore.

Comunque sia, stranamente Rimetti a noi i nostri debiti ha faticato a trovare il grande schermo, e a supplire è arrivata la società di Reed Hastings: spacciato quale film originale Netflix, sebbene sia più corretto parlare di esclusiva distributiva, nondimeno segna uno spartiacque. Dal 4 maggio scorso è disponibile sulla piattaforma streaming in 22 lingue e, stante la difficoltà del theatrical nazionale, chissà Netflix quanti altri debiti dovrà rimettere al comparto: per carità, meglio sul piccolo schermo che in magazzino, ma davvero possiamo, dobbiamo accontentarci di questa – letterale – via d’uscita?

La speranza, invero, è un’altra: che Netflix dia credito alle nostre migliori intelligenze, scoprendole e promuovendole, senza appoggiarsi all’esistente, senza colludere, pardon, dialogare necessariamente con il cinemino de ‘noantri. Insomma, che sia rottura e quindi possibilità autentica: anche perché, con rispetto parlando di Suburra e degli altri progetti in cantiere, ma voi l’House of Cards italiano l’avete (già) visto?

[Pubblicato originariamente sul numero di giugno della Rivista del Cinematografo]