"Vogliamo chiederci se il cinema sia in grado di proporre nuove strade verso la convivenza democratica. E se queste strade s'incrocino con quelle dei giovani", afferma Dario E. Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e moderatore dell'incontro per il dialogo sulle visioni cristiane del cinema organizzato da Interfilm, FEdS e l'Associazione protestante cinema "Roberto Sbaffi". Il focus è la primavera araba.
Venezia 68 dedica ampi spazi al cinema mediorientale: in programma il documentario egiziano Tahrir 2011, i due corti del collettivo Abounaddara The End e Vanguard (nella selezione ufficiale, Fuori Concorso) e per Orizzonti il corto di Ammar Al-Beik, Hadinat al shams (The Sun's Incubator). Insieme al critico cinematografico egiziano Amir Emary, il regista (per la seconda volta a Venezia) è ospite d'onore della tavola rotonda, offrendo al pubblico l'occasione unica di parlare di cinema siriano.
"L'industria cinematografica in Siria - afferma il regista - è quasi completamente asservita alle agenzie governative, da cui è finanziata. I registi indipendenti rimangono schiacciati in questo ingranaggio, senza soldi né spazi di espressione". Una situazione detsinata a permanere nonostante la crisi del regime: "In Siria da anni ormai il settore privato è ridotto al silenzio, non ci sono scuole di cinema al di fuori dell'ortodossia governativa. Io - ammette Ammar Al-Beik - ho dovuto studiare da autodidatta. Tutto il contrario dell'Iran, che negli anni Ottanta è riuscito ad eludere la censura grazie al talento di autori come Kiarostami". Come se non bastasse, per anni il regime di Bashar Al-Asad ha scoraggiato la fioritura di una cultura cinematografica, specie tra i più giovani. Gli fa eco Amir Emary: “A Damasco ci sono pochissimi cinema, quasi tutti parte di complessi alberghieri, e i Festival sono degli eventi segreti, ai limiti dell'illegalità. Nelle sale arrivano soltanto blockbuster e film egiziani – e per ogni film egiziano, ne escono dieci targati USA". I film indipendenti non vengono distribuiti, ma arrivano direttamente nel circuito della pirateria, diffuso in tutto il Medio Oriente. Ammar Al-Beik: "L'unica industria fiorente nell'audiovisivo è quelle delle serie televisive, trasmesse sui canali nazionali. In un contesto del genere, i giovani sono disincentivati dall'andare al cinema o a teatro e cercano altre forme d'intrattenimento. In più, non esiste letteratura sul nostro cinema, e nessuno lo studia". Al Beik esclude al momento di tornare in Siria? "Non ora. Tuttavia, dopo i recenti, sanguinosi eventi c'è da sperare che qualcosa cambierà, nella società come nel cinema. Coltiviamo tutti questa speranza".