“Se c'è un cinema privato è quello italiano, infatti oltre l'85% del capitale viene dai privati. C'è una retorica erronea che bisogna rompere sul finanziamento pubblico al cinema”. Così Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, alla presentazione della  mostra Preti al cinema. I sacerdoti e l'immaginario cinematografico, “una vasta gamma di rappresentazioni audiovisive su una figura molto presente nel tessuto sociale italiano: il prete”.
Inaugurata in Vaticano dal Cardinal Angelo Bagnasco e Carlo Verdone e da oggi e fino al 22 giugno allestita presso la Pontificia Università Lateranense, la mostra presenta fotografie selezionate dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia e concesse eccezionalmente dalla Fototeca del Centro Sperimentale, creando un percorso illustrativo dei cambiamenti e delle evoluzioni della figura del prete nella storia del cinema: “Nelle nostre linee d'intervento c'è anche il sostegno a queste iniziative. Il Mibac ha collaborato attivamente alla realizzazione di questa mostra, che dà rilievo alla figura del prete nella società - dice Nicola Borrelli, Dg Cinema Mibac – E sul nostro cinema, concordo pienamente con il dato riportato da Viganò”.
Un omaggio alla figura del prete attraverso un itinerario fotografico che va dal Don Camillo di Fernandel fino al padre Carlo di “Io, loro e Lara” (2010) di Carlo Verdone: “ Sul catalogo mi sono occupato di Buñuel – dice Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema - Diceva “sono ateo grazie a Dio” e ha messo in scena la figura del prete dichiarandosi ateo. Pur essendo provocatorio e blasfemo è colui che ha meglio rappresentato i preti rispetto a quelli che li hanno ridotti a mere macchiette”.  Alla conferenza erano presenti anche due registi che con il loro sguardo hanno saputo raccontare la figura del prete: Mimmo Calopresti e Alessandro D'Alatri.
“I preti mi hanno insegnato molto, anche a giocare a pallone!”, dice Mimmo Calopresti, “Ma soprattutto mi hanno insegnato a lottare e a conquistare la vita terrena”. E Alessandro D'Alatri: “Sono nato a via Merulana, sono figlio di operai e appartenevo alla parrocchia di San Marcellino. Non avevo la televisione e ho conosciuto il cinema nell'oratorio, la figura del sacerdote mi affascinava perché era colui che azionava il proiettore”.  E il regista di Casomai prosegue: “Purtroppo ci siamo distaccati dal rapporto con l'intangibile, diventando una società pragmatica e materialista. Il sacerdote di Casomai ha avuto un grande successo tanto che molti amici si sono sposati dopo aver visto il film! Nel sacerdote è fondamentale il valore della testimonianza”.