Tutto esaurito per Robert Altman. Al festival di Torino l'ampia retrospettiva (oltre quaranta lungometraggi diretti per il cinema e la televisione) dedicata al regista scomparso e curata da Emanuela Martini attira gli spettatori come una calamita. Che siano titoli noti come Il lungo addio dal romanzo omonimo di Raymond Chandler o meno conosciuti (e riusciti) come il surreale Terapia di gruppo con uno straordinario Jeff Goldblum, o sia invece l'entusiasta attore Keith Carradine a trascinare la gente al cinema, è un successo inaspettato. Perché Altman non è mai stato un autore popolare, tutt'altro. Un episodio raccontato dal presidente di giuria Jerry Schatzberg gli rende giustizia: ”Con Bob eravamo amici e vicini di casa. Un giorno sono andato in un museo con un critico piuttosto antipatico e sono stato costretto ad ascoltare le sue recensioni poco lusinghiere dei miei film. Neanche Altman deve essere scampato ai suoi giudizi terribili: poco dopo ho visto che gli sferrava un pugno sul naso e non ho potuto che esultarne”.
Anche la carriera, altalenante, racconta di un carattere ribelle, di un implacabile osservatore della realtà, dotato di grande talento e ironia. Nato a Kansas City nel 1925, Altman esordisce a metà degli anni '50 con The Delinquents e un documentario su James Dean (The James Dean Story).
Chiamato da Hitchcock a lavorare ad Alfred Hitchcock presenta, inizia una lunga carriera televisiva che lo porta a dirigere episodi per le maggiori serie televisive, tra cui Bonanza e Combat!. Nel 1970 MASH vince la Palma d'Oro al Festival di Cannes: una satira rivoluzionaria sulla guerra di Corea, in cui i militari americani non sono più il nemico ma disgraziati come tanti, che cercano solo di sopravvivere. Negli anni seguenti sforna thriller (Images), western (I compari), noir (Il lungo addio), commedie (California Poker). Nel '75 arriva Nashville, il film della consacrazione, che distrugge definitivamente l'American Dream, tema ricorrente nella sua filmografia e vince l'Oscar per la canzone "I'm Easy" di Keith Carradine. Caduto in disgrazia con le major che non gli danno più soldi, va a New York dove lavora in teatro e riadatta alcune pièce per il cinema. Torna ad Hollywood e nel '93 realizza America oggi, tratto dai racconti di Raymond Carver, impietoso sguardo sull'alienazione della società americana, a cui seguono opere diverse, ma sempre notevoli e spesso dolenti, come La fortuna di Cookie, The Company o Radio America.