Ieri serata di grande emozione al Festival dei Popoli: assegnazione del premio Solinas al miglior documentario, vinto da Carenas-Catene di Francesca Balbo, e consegna della medaglia della Presidenza della Repubblica alla regista Cecilia Mangini che, con la sua attività di cineasta, spesso accanto a Pier Paolo Pasolini, ha trasmesso l'atmosfera e l'immagine dell'Italia degli anni '50 e '60. L'autrice, profondamente commossa per il riconoscimento "perché Giorgio Napolitano ha a cuore la sofferenza del nostro Paese", ha ricordato l'importanza di Solinas nella sceneggiatura di grandi capolavori del passato, e del Festival dei Popoli che, da sempre, incoraggia e sostiene i documentaristi: "Contribuiscono all'importante incremento della società - dice la Mangini - perché ci regalano il senso della realtà che ci circonda". Finale con la proiezione de La canta delle marane del 1961 che la regista girò a Roma: "In maniera molto innovativa - ricorda la regista - Pier Paolo Pasolini ripensò per i testi al periodo dell'infanzia con nostalgia e la volontà di ritrovare i compagni della sua giovinezza. Egisto Mati con la sua colonna sonora interpretò e diede anima al documentario". Capitolo concorso: interessanti Sahman di Harutyn Khachatryan e Defamation di Yoav Shamir. Con un linguaggio filmico radicale, asciutto e lucidissimo, uno dei più importanti registi armeni contemporanei parte dal concetto di confine: "Dove spariscono e come cambiano le frontiere?", si chiede Khachatryan nel raccontare una terra che, da decenni, vive ogni nuova spartizione come giustificazione per nuovi conflitti. "Decine di migliaia di persone aspettano la pace per tornare a casa". Yoav Shamir, dopo Checkpoint del 2003 e Flipping Out del 2007, con Defamation, torna all'analisi dei giovani ebrei in terra d'Israele e al modo in cui si rapportano con l'antisemitismo di ieri e di oggi. Da questa prima analisi, il film, sicuramente scomodo e controverso, tocca uno dei grandi tabù della comunità ebraica nel mondo e cerca di indagarne la psiche soprattutto degli ebrei americani. "Non si può vivere nel ricordo della Shoah", afferma l'autore israeliano.