Omosessualità, Chiesa e Polonia rurale. Questi gli elementi alla base di In The Name Of della cineasta polacca Malgoska Szumowska, in concorso alla 63° Berlinale.
Impresa, anche filmica, non facile. Il risultato però ha la stoffa della poesia. Adam è un ventunenne che scopre la sua vocazione in un paese della provincia polacca. Intorno a sé una povertà che non sembra dell'Europa, e adolescenti difficili, violenti, disperati. Le avance sfrontate di Ewa, una giovane e bella donna, le rifiuta col pretesto di essere già impegnato con le sue scelte. Eppure, non è solo il celibato a tenerlo lontano dalla passione di Ewa. Adam ora sa di amare gli uomini. Quello che non sa è che la vocazione è, anche, una via di fuga dalla propria sessualità. L'incontro con Łukasz, il silenzioso, timido figlio di una famiglia di contadini, cambia tutto. Soprattutto, mette dolorosamente a nudo la difficoltà di resistere. Il giovane attore polacco Andrzej Chyra è una rivelazione. “Sono di Cracovia”, racconta la regista. “Provengo e vivo nella realtà della Nuova Polonia. Vorrei raccontare, e ricordare, che in quello che oggi non è più l'est, ma il centro dell'Europa, c'è un altro Continente”.
A Malgoska Szumowska, che nel 2009 ha coprodotto Antichrist di Lars von Trier e il cui debutto Happy Man (del 2000) fu nominato a miglior opera prima europea, riesce di consegnare un film limpido, realista, puro. Una storia sulla confusione dei sentimenti, la solitudine – e la possibilità, anche se troppo tardi, di ritrovare se stessi.