E' riuscito fin dove neanche Alfred Hitchcock era arrivato: girare un film, quasi interamente, all'interno della Palazzo di Vetro dell'ONU a New York. Per farlo Sydney Pollack ha smosso mari e monti pur di ottenere un appuntamento con Kofi Annan e convincerlo a farsi dare l'autorizzazione. E lo ha fatto per girare un thriller, The Interpreter, che oltre ad intrattenere il pubblico, avesse anche la capacità di trasmettere un messaggio forte: "Che bisogna ancora credere nel potere delle parole e della diplomazia e che possano rappresentare un'alternativa più che valida alle armi e alla guerra. Altrimenti - dice il regista - le Nazioni Unite non hanno più senso di esistere". Il film, interpretato da Nicole Kidman e Sean Penn, arriverà nelle sale il 28 ottobre (distribuito dalla Eagle Pictures in più di 300 copie) e non ha caso, spiega Pollack, "ha per protagonista un'interprete, ossia una persona che lavora con le parole e che conosce esattamente l'importanza di usare un vocabolo al posto di un altro". L'interprete in questione è Silvia Broome (Nicole Kidman) alla quale succede di ascoltare per caso una conversazione telefonica nella quale si parla del piano per uccidere il presidente di un piccolo Stato africano, sconvolto dalla guerra civile. L'uomo, che viene da più parti considerato un dittatore, rischia di essere processato di fronte al tribunale dell'Aia per crimini contro l'umanità e dovrebbe parlare all'assemblea delle Nazioni Unite proprio per chiarire la sua posizione. Ad occuparsi del caso è l'agente Tobin Keller (Sean Penn), ma l'uomo non crede nel racconto di Silvia, al contrario è convinto che la ragazza abbia un motivo personale per voler impedire all'importante capo di stato di arrivare nella Grande Mela. L'iniziale diffidenza cede il posto a un sentimento ben diverso quando la donna rischia di essere uccisa in un attentato terroristico. "Non c'è alcun parallelo con Al qaida - chiarisce Pollack -. Non esiste un solo tipo di terrorismo nel mondo, anche se per il momento il governo degli Stati Uniti sembra averlo dimenticato e ora, ogni volta che scoppia una bomba, si tira in ballo Al qaida". "Tutti i miei film hanno dei contenuti politici" dice il regista, da I tre giorni del Condor a Il socio, ma "c'è un altro motivo per il quale ho deciso di girare questo film: mi piace raccontare storie d'amore, soprattutto quando si tratta di mettere insieme persone molto distanti tra loro". Pollack ha poi raccontato di quando ha incontrato per la prima volta Annan ("Non volevo sembrare un qualsiasi volgare venditore arrivato da Hollywood per proporre il più grande film mai realizzato nella storia del cinema, per questo ho pensato a lungo a quello che gli avrei detto") e delle difficoltà incontrate sul set: "Potevamo girare solo sabato e domenica e se l'edificio era occupato dovevamo rinviare le riprese, ma i problemi maggiori ce li ha procurati la sicurezza quando abbiamo dovuto fare entrare la pistola nell'aula delle assemblee. Dopo l'11 settembre non è più consentito neanche ai capi di stato entrare armati, prima era diverso, ho visto un video con Arafat che di pistole ne aveva addirittura due". Per quanto riguarda il suoi futuri progetti, "mi piacerebbe riunire sullo schermo la coppia Jane Fonda-Robert Redford (già protagonisti di Il cavaliere elettrico dello stesso Pollack, n.d.r.), ma non si scrivono più belle parti per le donne della sua età oggi". Come produttore ha in lavorazione il nuovo film di Phillip Noyce sull'Apartheid Hotstuff e l'opera seconda di Kenneth Lonergan di Margaret. Sarà invece tra i produttori e interprete del prossimo film con George Clooney, l'opera prima Michael Clayton di Tony Gilroy.