350 copie, l'applauso allo scomparso direttore della fotografia Marco Onorato, il Grand Prix della Giuria all'ultimo festival di Cannes e altri applausi per il regista Matteo Garrone, il protagonista Aniello Arena e gli altri attori, da Nando Paone e Loredana Simioli passando per Nello Iorio e Nunzia Schiano. Così si presenta Reality, prodotto dall'Archimede di Garrone con Fandango e Rai Cinema, e dal 28 settembre in sala con 01 Distribution.
La storia è ormai nota: un pescivendolo napoletano, Luciano (l'ergastolano Arena, attore teatrale di lungo corso per la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo), che fa piccole truffe per arrotondare con la moglie Maria (Simioli), spinto dai familiari e dal quartiere cerca di esportare la sua naturale inclinazione allo spettacolo sul piccolo schermo, partecipando a un provino per il Grande Fratello. “Se Bellissima di Visconti è un film di riferimento, allo stesso modo Reality - risponde Garrone in conferenza stampa a Roma - è vicino alle atmosfere di Eduardo De Filippo, alla commedia all'italiana di Monicelli, a Matrimonio all'italiana di De Sica: esempi di cinema prestigioso, meraviglioso degli anni '60 e '70”. “Senza le trappole delle denunce e degli intenti pedagogici aggiunge il regista - Reality osserva dall'interno, con umanità, senza prendersi gioco dei personaggi”.
E sul rapporto con la tv del protagonista, e quindi dell'intero film: “E' l'evasione dalla realtà per inseguire un sogno: il contagio parte dalla famiglia, dal quartiere, Luciano è ingenuo, puro. Il rapporto con la tv non è solo legato all'apparire, ma all'esistere: la certificazione della propria esistenza, perché per alcuni le cose in tv sono più vere di quelle di ogni giorno”. Ma che fa Reality? “Affronta - dice Garrone - un problema esistenziale, non narcisistico, perché il personaggio cade nelle trappole del sistema, ma anche io potrei farlo. Non è un discorso moralistico, ma intorno ai modelli legati alla società dei consumi”. Girato in sequenza, il film “è un viaggio: sento con l'attore - spiega Garrone - come vive dall'interno i passaggi della drammaturgia. E' un dialogo aperto, si cerca di capire insieme i vari stati emotivi personaggio, mentre ci si sposta dalla commedia all'italiana verso L'inquilino del terzo piano: un viaggio nella mente, nella perdita d'identità”.
D'accordo Arena: “Si cercava di trovare la giusta emotività da dare al personaggio, che man mano diventa tuo. E lo vivi davvero. Luciano ha una parte simpatica, allegra che mi appartiene, poi andando avanti lo sentivo emotivamente, cercavo di calarmi, associando pensieri. Gli ho dato il massimo”. Ma qual è il rapporto di Arena con la tv? “In carcere c'è solo la televisione, anche se io mi dedico al teatro. Non sono amante dei reality show, all'inizio ho visto il Grande Fratello perché era una novità, poi basta. La tv la vedo per bei film e documentari, ma non vado oltre”.
E' Procacci di Fandango, viceversa, a ritornare sulle polemiche a mezzo stampa e associazioni cinematografiche sulla decisione di non far uscire Reality - e Io e te di Bertolucci – subito dopo Cannes: “Pretendere che autori  da un film ogni 4 anni si prestino al gioco allungare la stagione cinematografica non mi pare corretto, è meglio puntare su altro cinema, non quello di qualità”.
Sottolineando come “vivendo nella società dei consumi si è tutti vulnerabili alle seduzioni dall'esterno”, Garrone ritorna sul post-Gomorra: “Ho passato anni di pressione  e peso, volevo ritrovare piacere, divertimento e fare qualcosa di diverso. Ho raccontato questa piccola storia - quella vera alla base di Reality, NdR - a Massimo (il co-sceneggiatore Gaudioso, NdR), e lui mi ha trasmesso l'entusiasmo. Da un piccolo racconto, il film ha preso un altro spessore, da romanzo breve. Sono felicissimo, ma è stato anche molto faticoso, comunque se riuscirò a fare un prossimo film ora non avranno più il riferimento a Gomorra, me ne sono liberato”.
“L'equilibrio tra comico e drammatico, mai cadere nel grottesco” per linee guida, Reality ribadisce per Garrone come “fare il regista significhi avere la capacità di creare un gruppo: il cinema è arte collettiva nel bene e nel male, il regista è il responsabile, ma i meriti sono da dividere nella collettività, se no non si va da nessuna parte”. Come sempre, prosegue il regista sulla genesi di Reality, “devo sentire che un nuovo progetto mi porta in un territorio che non conosco: dopo Gomorra volevo provare a cambiare genere, ritrovare leggerezza e libertà, con Estate romana come riferimento”, mentre dagli Stati Uniti, da Hollywood arrivavano proposte di dare un seguito più o meno esplicito a Gomorra: “Anche quelle erano seduzioni, magari andavo in America e manco riuscivo a girare un film, e mi perdevo”.
Qualcuno invece si è trovato, a teatro: “Non è solo la parte artistica - dice Arena - mi ha formato gradualmente: una crescita interiore, un percorso mentale. Ogni sera in cella mi mettevo discussione, non è solo teatro, ma vita, vita vera: mi colpiva l'andare in scena, ma anche il modo in cui si ragiona, come Armando (Punzo, NdR) ti fa scattare qualcosa dentro. Non siamo solo detenuti, ma anche altro, questo mi piace”.
Conclude Garrone, fresco giurato a Venezia e con Reality in corsa per la nomination italiana al miglior film straniero ai prossimi Oscar: “I premi aiutano il film, ma dipendono dalla sensibilità di chi deve giudicarli, se l'intercettano o meno”.