“La verità è che il nostro film non l'ha voluto nessuno, anche se lo abbiamo presentato a molti festival. Non è un merito né un demerito, le scelte dei direttori seguono logiche che non si devono discutere. Certo, Amelio mi ha detto che non gli è piaciuto il bambino, come ci fosse solo lui nel film. La cosa non mi ha fatto piacere, però va bene lo stesso. Altri che è troppo classico, ma noi ne rivendichiamo il sapore antico”. A parlare è un Michele Placido straordinariamente accomodante e pacato, pronto a sostenere con tutte le forze l'uscita solitaria di Itaker-Vietato agli italiani di Toni Trupia, in sala dal 29 novembre distribuito da Cinecittà Luce. L'attore, oltre a recitare in un piccolo ma fondamentale ruolo, è doppiamente coinvolto perché Federica Vincenti, sua moglie, lo ha coprodotto con la Glodenart Production insieme a Mandragora movies e Rai Cinema. Location tra il Trentino, che è intervenuto con la film commission, e la Romania, che ha coperto il 30% del costo totale, dichiarato in 2.300.000 euro.
Ma, giudizi dei direttori di festival a parte, Itaker è davvero costruito secondo un canone classico che ben si adatta alla vicenda, quella di un operaio italiano emigrato in Germania nei primi anni Sessanta il quale, per una serie di circostanze deve, prendersi cura di un bambino alla ricerca del padre. Anche lui uno dei tanti italiani andato a cercar fortuna in terra tedesca. Una storia anagraficamente lontana dal regista, classe 1979, che pure ha trovato un modo tutto personale per scandagliare un fenomeno mai troppo analizzato. “Ho cominciato a lavorare al film su suggerimento di Placido - spiega -, partendo da un racconto che aveva sentito durante un viaggio in treno. Una suggestione sulla quale ho prima pensato di non poter costruire molto, ma che poco a poco è andata scavando dentro di me. Solo che avevo un'enorme difficoltà da superare, appunto quella della distanza anagrafica tra me e gli anni Sessanta. Però sentivo che dovevo farlo, se non altro perché l'emigrazione fa parte della mia famiglia, ancora oggi infatti molti miei parenti vivono in Belgio. Ho trovato la chiave di lettura nei due personaggi principali, l'operaio Benito e il piccolo Pietro. Ho riflettuto sul fatto che come il ragazzino, chi lasciava l'Italia perdeva il rapporto con i padri e di conseguenza con la patria. Da quel momento in poi, è stato tutto facile”.
Intorno a Benito, un efficace Francesco Scianna in versione napoletana, e Pietro, il debuttante Tiziano Talarico, si muove un universo fatto di bar fumosi dove ritrovarsi per parlare italiano, di baracche fredde, di contatti difficili se non impossibili con i tedeschi, di malviventi, di donne sfruttate, di vite senza un orizzonte. Un modo secco di mostrare la vita dei nostri connazionali protagonisti del secondo grande flusso migratorio che l'Italia abbia mai conosciuto di cui, sottolinea il regista, il cinema dovrebbe occuparsi di più. E cita, indimenticabile, Pane e cioccolata. Ma se il film di Brusati alla fine era una commedia amara qua prevale la fotografia realistica, per quanto di una realtà alterata. E' lo stesso regista a fornirne una spiegazione in proposito: “Le scelte visive sono tutte calibrate sullo sguardo del bambino, così nulla è mai davvero come dovrebbe essere. Ai suoi occhi la fabbrica e le baracche sono trasfigurate, e questo ha inciso sulla fotografia, sui costumi, sulla scenografia. Ma è proprio questo sguardo ad avermi permesso di ricostruire un'epoca che non potevo raccontare da testimone. Spero che il mio desiderio profondo sia compreso dal pubblico, cioè che volevo restituire lo sguardo dell'innocenza”.
Molti gli attori in ruoli di primo e secondo piano, tra i quali l'intensa Monica Birladeanu, acclamata interprete di Francesca. Spicca ovviamente Scianna, alle prese con un personaggio di napoletano verace in bilico tra scaltrezza e innocenza. “Quando è arrivata la telefonata di Placido per sondare il mio interesse - ricorda l'attore -, non l'ho nemmeno fatto parlare. Con lui accanto la risposta è scontata: sì. Era già successo con Vallanzasca - Gli angeli del male, ho letto la sceneggiatura pro forma. Ma di questo uomo in conflitto mi sono proprio innamorato, posso dire che è la mia prima vera interpretazione. Ho studiato l'accento, discusso la sua personalità con Trupia per mesi. Non abbiamo tralasciato nemmeno una sfumatura. Un'esperienza fantastica. Con Itaker comincio davvero a fare questo mestiere”. E così si scopre che anche Scianna è un personaggio in bilico. Anzi, per meglio dire in equilibrio perfetto con i tempi che corrono: da una parte l'uomo immagine di Dolce & Gabbana, dall'altra l'attore in crescita che sta cominciando a coltivare con le giuste scelte la propria carriera.