“Ruppe la tradizione e combatté per cambiare il tango. Fu un rivoluzionario e un avanguardista”. Stiamo parlando del genio del tango Astor Piazzolla, che il regista Daniel Rosenfeld ci ha raccontato, attraverso lo sguardo del figlio (Daniel Piazzolla), nel suo bel doc Piazzolla. La rivoluzione del tango. 

Il film è già uscito in alcuni paesi (in Argentina e in Giappone è stato un caso di successo al botteghino), ora uscirà anche in Italia, alla riapertura delle sale cinematografiche (speriamo presto), distribuito da Exit Media. Ieri, in occasione della celebrazione dei cento anni dalla nascita del grande compositore argentino (nacque l’11 marzo del 1921) il regista Daniel Rosenfeld ne ha parlato insieme all’ambasciatore argentino in Italia Roberto Carlés nel corso di un incontro in streaming.

“Sono davvero contento che il mio film sarà distribuito in Italia- racconta-. Piazzolla è stato un uomo davvero speciale perché ha creato un proprio alfabeto e un proprio linguaggio unico. Ha rivoluzionato il tango e creato un proprio modo di comporre la musica. Si è inventato un ritmo. Lui odiava stare un passo indietro”.

Di fatto, come racconta suo figlio nel doc, il peggior insulto che potesse ricevere suo padre era proprio: “Stai facendo un passo indietro”. Piazzolla non lo fece mai, anzi. “Guardò sempre avanti con un passo nel presente”, dice il regista.

Tantissimi i materiali d’archivio inediti del mitico bandonéonista utilizzati in questo doc: fotografie, nastri vocali, riprese in super8, decine di cassette con la stessa voce di Astor Piazzolla, registrata dalla figlia Diana, in cui racconta i suoi ricordi e le sue avventure.

Dall’infanzia a Manhattan (era nato con un difetto al piede destro che richiese ben sette operazioni e che gli causò un complesso per tutta la vita perché non sopportava di avere una gamba più sottile) agli esordi musicali al fianco di alcuni dei più grandi compositori dell’epoca, dal rientro a Buenos Aires alla rivoluzione degli anni settanta con Libertango (l’album del 1974 che sancisce ufficialmente la nascita del Nuevo Tango, un genere che incorpora tonalità e sonorità jazz al tango tradizionale, utilizzando dissonanze ed elementi musicali innovativi).

Dalla bellissima Adios Nonino, che dedicherà al padre Nonino alla sua passione per la pesca, in particolare la caccia agli squali. E poi ancora: il rapporto talvolta conflittuale con la famiglia, il suo periodo in Italia (i suoi genitori provenivano da Trani e Garfagnana e negli anni Settanta collaborò con Mina e compose musica per i film di Francesco Rosi e Marco Bellocchio) e il rifiuto della sua musica da parte dei puristi del tango (“Molti dicono che la mia musica non è tango. Nel 1960 ho scoperto che tutte le radio parlavano di me. Alcuni mi chiamavano assassino, altri degenerato o killer. Non ho fatto nulla: ho solo cambiato il tango”).

“Da bambino mi piaceva suonare La mort de l’ange o Adios Nonino al pianoforte- racconta il regista-. Non volevo semplicemente fare un film sulla vita o la musica di Piazzolla. Mi sono voluto concentrare sui principali eventi biografici e musicali. Non in modo anonimo, ma con uno sguardo esterno”.

Ne esce fuori un documentario malinconico, che ci fa conoscere una musica, una tanguedìa che penetra direttamente al cuore. “Credo che la malinconia abbia una sorta di origine segreta che risale all’infanzia e si manifesta in un certo momento della vita. Per me quel momento è stato bandonéon di Piazzolla”, spiega Rosenfeld.

D’altronde come diceva lo stesso Piazzolla: “La mia musica è per la gente che pensa. Io credo che la gente che mi viene ad ascoltare pensi. La mia musica è triste perché il tango è triste. Il tango ha radici tristi e drammatiche, a volte sensuali, conserva un po’ tutto, anche radici religiose. Il tango è triste e drammatico, ma mai pessimista”.

Ecco, concludiamo come le note del tango, senza essere pessimisti, sperando di vederlo presto in sala.