Non sogno mai di camminare sul filo, perché lo faccio tutti i giorni. Sogno di volare piuttosto, anche se ancora oggi, a 66 anni, continuo ad imparare nuove posizioni sulla fune, a scivolare su di essa”. È stato l’uomo che ha compiuto una delle imprese più impossibili che si potesse immaginare – camminare sospeso su un filo che univa le due Torri Gemelle a New York – Philippe Petit, oggi alla Festa di Roma per accompagnare l’anteprima italiana (nelle sale il 22 ottobre con Warner Bros.) di The Walk, film di Robert Zemeckis che, in 3D e attraverso l’interpretazione di Joseph Gordon-Lewitt, racconta quell’incredibile storia. Cosa che aveva già fatto James Marsh, nel 2008, con il documentario Man on Wire, premiato con l’Oscar: “Ma sono due cose differenti, come due quadri fatti da due pittori diversi. Impossibile paragonarli, ma andrebbero visti entrambi”, assicura subito Petit, che però non si nasconde: “Nel documentario c’erano comunque un paio di cose su cui non ero d’accordo, come accaduto anche nel film del resto: la più eclatante? Beh, quando per esigenze di pathos narrativo si fa inciampare per un attimo il protagonista sul cavo che univa le due Torri… Fosse accaduto davvero ora non sarei qui a raccontarvelo”.

The Walk di Robert Zemeckis

È un fiume in piena, Philippe Petit, un uomo che sospeso nel silenzio di altezze indicibili sembra deciso a non lasciare inevasa nessuna domanda. Un artista a tutto tondo, che non si limita a rispondere, ma che attraverso il proprio corpo mima in continuazione qualsiasi evento, situazione, ricordo: “Il funambolismo non sarà mai considerato uno sport, semplicemente perché è difficile che qualsiasi sport possa custodire in sé la profondità di un’arte come questa. E’ come recitare in un teatro nel cielo, dove è impossibile non fare i conti con la propria solitudine, ma quando sei lì c’è qualcosa di nobile nell’essere solo”, prova a spiegare Petit, francese che ormai dai mesi precedenti l’impresa sulle Twin Towers (compiuta il 7 agosto del 1974), vive stabilmente negli Stati Uniti: “Anche se in francese la parola cable è più bella, è fil, una parola bellissima che rimanda al filo della vita. La cordicella rossa che vedete nel film la porto realmente sempre con me (e la mostra ai giornalisti presenti, ndr), per stenderla di fronte ai miei occhi e vedere dove poter collegare una fune tra un punto e un altro. Prima che si tenda è stupenda, forma quasi un sorriso. E se ci pensate bene che cosa fa un funambolo? Collega le persone, come quando camminai tra due luoghi dove le persone erano nemiche al di qua e al di là del filo, poi unite in un unico applauso”.

Philippe Petit alla Festa di Roma - Foto Pietro Coccia

Come lo stesso, lunghissimo e liberatorio applauso che New York regalò a Petit quella mattina di agosto, ormai più di quarant’anni fa: “Quando si cammina sul filo si vede il mondo da un altra prospettiva. Ma anche quella volta, così in alto nel cielo, riuscii a sentire le persone lì sotto, a migliaia… I miei amici più tardi mi hanno detto che sono rimasto a camminare sulla corda per qualcosa come 45 minuti. Fatto il primo tratto, arrivato dall’altra parte, ho controllato l’aggancio e appurato che fosse tutto a posto, mi sono seduto sulla corda. Essere su quella fune è come sentirsi un re seduto sul proprio trono”, racconta ancora Petit, l’uomo che attraverso la sua impresa riuscì a far amare le Twin Towers – inaugurate da poco, all’epoca – ai newyorchesi. E che oggi Robert Zemeckis tenta di far rivivere, riempiendo con un incredibile 3D quel vuoto impossibile da colmare dopo l’attacco dell’11 settembre 2001: “Mi chiedono spesso che cosa ho provato all’indomani di quell’evento – dice Petit – ma è una domanda alla quale non amo rispondere. Perché non so come esprimere un’emozione così dolorosa, legata soprattutto all’idea di quante migliaia di persone hanno perso la vita”.

Un vuoto con cui il cinema americano ancora una volta prova a fare i conti, anche a livello tecnologico: “In generale detesto il 3D perché amo fortemente il cinema. Devo ammettere però che alcuni film, in 3D e sul megaschermo IMAX, riescono a regalare esperienze straordinarie. Come in questo caso, dove davvero sembro poter portare la gente con me sul cavo”, spiega ancora il funambolo, che però non ama definirsi in maniera così netta: “A volte penso di non essere semplicemente un funambolo, mi sento uno scrittore del cielo, un pittore, un regista. Viaggio sempre con matita e taccuino per disegnare, così da poter imprimere in questo modo i miei ricordi. E credo che la tecnologia, o meglio l’eccesso della stessa, possa drasticamente ottundere i nostri sensi. Che invece dovremmo cercare di mantenere vivi, sviluppare maggiormente…”. Anche se, gli fa notare qualcuno, grazie alle nuove tecnologie potrebbe realizzare dei “fantastici” video mentre è in bilico su qualche fune: “Fare video mentre sono sul filo? Non scherziamo, sarebbe un qualcosa che non renderebbe mai giustizia alla nobiltà di quell’arte”.

Chapeau, monsieur Petit.