Una tavola rotonda per fare il punto sull'esperienza delle ultime 50 edizioni della Mostra, una celebrazione importante per ricordare le origini e tentare di capire il presente.La storia della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro affonda le sue radici nel 1963, quando fu ideata da Lino Miccichè e Bruno Torri in riposta ad una richiesta da parte della dirigenza del PSI, impersonata all'occasione da Achille Corona (che in quel periodo fu assessore al turismo del comune di Pesaro). La prerogativa della Mostra, punto sul quale Miccichè non avrebbe mai smesso di insistere, era quella di mostrare un cinema fuori dai circuiti dei grandi festival, un cinema impegnato, nuovo e difficile da recuperare, in un periodo in cui le cattedre dedicate all'argomento erano ancora quasi inesistenti all'interno delle università.
I primi anni della mostra, la cui prima edizione fu nel 1964, sono ricordati da chi era presente con grande trasporto: erano gli anni della protesta studentesca, nel 1968 il festival di Cannes fu interrotto dagli addetti ai lavori e lo stesso anno anche a Pesaro la Mostra venne interrotta da scontri con la polizia e con i fascisti romagnoli, come ricorda in un video-intervento Bernardo Bertolucci, presente all'epoca e da sempre grande sostenitore della rassegna.
Erano "tempi gloriosi" come li definisce Aprà, direttore dopo Miccichè tra il 1990 e il 1998, subito dopo l'edizione "orientale" del 1989 curata da Marco Muller, predecessore dell'attuale direttore Giovanni Spagnoletti in carica dal 2000. Anni in cui la Mostra era totalmente "inserita nello spirito del tempo", in cui, come dice Stefano Rulli (presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma) "c'era capacità di vedere ciò che stava cambiando".
Una Mostra, quindi, in grado di ascoltare quali erano i richiami del Nuovo Cinema internazionale per portarlo in Italia agli appassionati. Le prime edizioni vedono così la partecipazione di Bertolucci, Pasolini, i fratelli Taviani, Zavattini e Rossellini, oltre a nomi internazionali come Godard, Alea, Rocha, Mekas e un Jack Nicholson alle prime armi. Con il passare del tempo però si è andata creando una spaccatura, come afferma Andrea Martini, una "contraddizione tra le motivazioni della creazione della Mostra e le dinamiche della situazione cinematografica odierna". Ovvero: se prima si poteva parlare di Nuovo Cinema, al singolare, oggi la situazione è cambiata del tutto: il cinema si è frammentato e continua a farlo ogni anno di più. E così nuove, inaspettate, ibridazioni e richiami multimediali si sono andate istaurando tra il cinema classico, quello sperimentale e la TV. Come afferma Piero Spina "la sperimentazione sembra ormai appartenere al cinema dal grande budget" facendo l'esempio delle pellicole di Cuaròn, mentre in TV, come aveva fatto notare Bertolucci nel suo video-intervento, capita di vedere serie TV che "osano" riprendere alcune tecniche e stilemi del cinema classico, come per esempio il ritmo del montaggio di Breaking Bad, carico di riprese lunghe in controtendenza rispetto alla cadenza spedita del cinema attuale. In chiusura un intervento da parte di Daniele Vicari, giurato di questa edizione, che sottolinea come il futuro del cinema è spesso cercato nei posti sbagliati: in Italia ogni anno vengono girati più di 600 documentari, più di quelli che in un anno sono prodotti da Germania e Francia insieme.
"E' con il documentario che si può salvare e rivoluzionare il cinema italiano dall'interno". Nessuno sembra accorgersene ma il nostro paese ha un tesoro nascosto che fa fatica ad emergere, e la colpa di questo è da cercare anche nelle stantìe cattedre universitarie che riguardano il cinema: "l'iper-specializzazione delle materie cinematografiche all'interno delle università è stata funzionale solo ai posti di lavoro. Dopo 20 anni possiamo dire che è stato un esperimento fallito. Per vedere il Nuovo occorre mettersi in gioco, muoversi."