Nell’ultima giornata dedicata al teatro di Fare Critica, molti sono stati anche gli eventi collaterali che ci hanno restituito l’immagine di una Calabria che resiste e che è sinonimo di una terra dall’intenso fervore artistico e culturale.

I lavori della giornata di ieri, infatti, si sono aperti con Antonello Antonante, regista e direttore artistico del Centro R.A.T. – Teatro dell’Acquario di Cosenza, una tra le personalità più considerevoli della scena teatrale calabrese, fresco vincitore del Premio Speciale UBU 2018 insieme a Dora Ricca. Antonante ha voluto soffermarsi sulla condizione complessa vissuta dall’arte teatrale non solamente a Cosenza o in Calabria, ma riguardante tutto il sud italiano e la Nazione stessa. “Mi ricordo una dichiarazione sul teatro rilasciata da un macchinista: egli disse che il teatro era il modo più intelligente con cui rovinarsi la vita!”: con questo aneddoto ha esordito Antonante per affrontare un discorso dalle sfumature spesso oscure, riguardante tutto il nostro Paese e lo stato dell’arte. Eppure, nonostante le enormi difficoltà, il Centro R.A.T. ha saputo farsi valere nei suoi lunghi 42 anni di vita: “non facendosi mancare nulla”, vincendo sfide logistiche e spaziali, ricevendo soddisfazioni dal pubblico dei più piccoli, guardando sempre ai grandi artisti del Novecento, primo tra tutti Julian Beck.

Ciò che più conta nell’arte di fare teatro, per Antonante, è possedere un’idea comune alla base, perché per riuscire in questo “bisogna avere in mente un progetto e realizzarlo con una squadra che sia tenace”. Senza il coraggio di Antonante e Ricca, e di tutta la loro squadra, il Centro R.A.T. non sarebbe stato ciò che è oggi, ossia una realtà nata “povera” e che nel tempo ha fatto grandi investimenti e scommesse, alla ricerca di “uno spazio senza colonne e una relazione con il pubblico”. Il teatro da essi costituito negli anni vanta un rapporto speciale di “fidelizzazione” con lo spettatore e, soprattutto, non smette di stimolare i più piccoli, ricorrendo anche agli strumenti del gioco.

Prezioso, poi, anche il dialogo tra Giuseppe Soluri, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria, e la giornalista Maria Scaramuzzino, che hanno lungamente riflettuto sul rapporto tra critica e giornalismo e sulle difficoltà attraversate dal mondo dell’arte e del giornalismo stesso in Italia: “Il problema del teatro in Italia è legato alla creatività, poiché non c’è un sistema che lo incentivi e che gli consegni dei riscontri meritocratici. Una volta il critico godeva di un certo peso perché poteva determinare il successo o l’insuccesso dello spettacolo; oggi non è più così, anche per i quotidiani nazionali, perché il peso dei media è aumentato e tutti commentano tutto”, ha affermato Soluri. Le difficoltà di parlare con criterio e consapevolezza di arte su una testata derivano, tuttavia, anche da una complessa situazione economica, come sostenuto anche dalla Scaramuzzino: “L’editoria italiana ha sempre meno risorse: è la mancanza di risorse che non ci permette di fare il salto di qualità, né di poter sostenere nuovi talentuosi collaboratori. E la situazione continua a peggiorare”.

L’influenza dei social network ha fatto in modo di “impigrire” l’attività giornalistica sempre di più, annullando spesso la caccia alla notizia sul campo; e questo ha avuto gravi ripercussioni sulla “qualità della notizia e, a volte, anche sulla verità”, ha commentato criticamente Soluri. L’accelerazione esagerata delle tempistiche della professione – che ha rivoluzionato, e non in meglio, il lavoro del giornalista –, come una complessiva sfiducia valoriale subita dalla società stessa, hanno comportato l’indebolimento generalizzato della credibilità e il dilagare del fenomeno della “tuttologia”. L’augurio è, dunque, che si possa rivalutare una professione – quella del critico, ma non solo – in questo “moderno Medioevo” che viviamo, ricordando che “le cose che si scrivono vanno sempre motivate, e che una storia è tale solo se è credibile”, ha concluso Maria Scaramuzzino.