"Il mercato del lavoro va riformato". Così il cantastorie Ascanio Celestini, che porta alla Festa del Cinema, sezione Extra, le sue Parole sante sul precariato. Prodotto da Fandango, il documentario segna il debutto al cinema di Celestini, drammaturgo, attore, scrittore, autore televisivo e radiofonico: "Non è un inchiesta - dice - non mi interessava fare un lavoro stile Report di Milena Gabanelli: ho lasciato fuori i nomi dei politici coinvolti, gli attacchi diretti a governo e sindacati, le manifestazioni, per privilegiare la storia collettiva di questi lavoratori precari, volevo fossero loro, con i loro vissuti, a uscir fuori". Protagonisti sono i precari dell'Atesia di Roma, il più grande call center italiano, l'ottavo al mondo, 300.000 telefonate al giorno, 4.000 impiegati nella sola sede di Cinecittà:  alcuni di loro il 1° maggio del 2000 costituiscono l'Assemblea Coordinata e Continuativa contro la Precarietà, unica tutela possibile per questi fittizi contrattisti a progetto, senza alcuna rappresentanza sindacale. Dopo l'intervento dell'ispettorato del lavoro, a fine 2006 si firmerà un contratto part-time a tempo indeterminato di 550 euro al mese, ma chi ha scioperato e denunciato all'Ufficio Provinciale la propria condizione viene licenziato, non riassunto e denunciato. "Un mezza vittoria, si è trattato di un condono, anzi di un amnistia - osserva Celestini - non tra lo Stato e l'Atesia, ma tra l'Atesia e i lavoratori: firmando la conciliazione, si liberava l'azienda dal rischio di una multa. Non bastasse, sono tuttora pochissime le aziende che stanno stabilizzando i propri organici, e i call-center hanno ripreso a fare contratti a progetto". Per Celestini, "non si può parlare di cinema e teatro civile, perchè non c'è teatro o cinema che non lo sia. Cinema e tetaro sono politici, perché vi interviene un discorso pubblico: da qui, la mai presa di responsabilità su un tema fondamentale quale la precarietà, che non è un entità, ma quello che accade alle persone. Persone che in molti casi subiscono una triplice alineazione: non possiedono i mezzi di produzione, non sanno che lavoro stanno facendo e per chi lo stanno facendo, come gli operatori di Atesia". Il regista spazza via anche la distinzione tra politica e anti-politica ("Puro qualunquismo in cui non voglio cadere"), e dice: "Portare milioni di persone in piazza è pericoloso, se la sinistra ne porta due, e la destra pure, è come se non li portassero: sono contro questa concezione di politici rockstar". E ne ha anche per i sindacati. "L'istituzione sindacale, non i singoli sindacalisti, si muove troppo lentamente rispetto a un mercato del lavoro in repentina evoluzione: se pensano di tutelare i lavoratori con due lire in più in busta paga, prepensionamenti e cassa integrazione, sbagliano di grosso. Mi spaventa di più l'immobilismo e l'impotenza di governo e sindacati che non le leggi Biagi e Treu". E conclude: "Bisogna riformare il mercato, partendo dal basso, dal quotidiano: serve una nuova coscienza civile e politica, rifiutarsi tutti insieme di sottoscrivere contratti indegni, accettare 10 euro per una giornata in cantiere, come fanno tanti extra-comunitari, o 8 euro per un articolo, come succede a tanti giornalisti".