Sotto la Palma il miglior film di Cannes 62. Onore al merito per Isabelle Huppert e i suoi giurati, che con la scelta di Das Weisse Band di Michael Haneke hanno dimostrato che il cinema non solo lo fanno, ma lo capiscono. Diciamolo subito, "collegare" questa Palma al premio ricevuto a Cannes dalla Huppert nel 2001 per La pianista del regista austriaco sarebbe meschino se inteso al di fuori della stima e dell'affetto (palesemente dimostrato nel lungo abbraccio sul palco) poco pelosi tra un uomo di Cinema e una donna di Cinema.
In un concorso dominato - eccetto Looking for Eric di Loach, Taking Woodstock di Ang Lee, Spring Fever di Lou Ye, Un prophete di Audiard e Fish Tank di Andrea Arnold - da uno spiccato individualismo, se non solipsismo, derivante dall'oggettiva difficoltà di raccontare una società in crisi non solo economica, la predilezione per Haneke, oltre ad attestare la forma superba del film, riconosce una precisa posizione poetico-ideologica: il torbido e datato microcosmo glocal del regista austriaco, che in un villaggio della Germania all'alba della Prima Guerra Mondiale rintraccia i germi del fondamentalismo, è più significante e significativo per il presente sociale che non il richiamo all'unità di Loach, la nostalgia formato famiglia di Lee, le inquadrature sottratte alla censura cinese di Lou Ye, il realismo inglese e femminile della Arnold, perché senza l'ansia e l'opacità dell'hic et nunc cerca nel bianco e nero delle fotografie d'epoca le domande risolutive alla violenza dell'oggi.
Poi, sia chiaro, Haneke quando è in forma, come in questo caso e pure nel finto simulacro del Funny Games americano, ha pochi eguali, non solo per prendere Cannes.
Viceversa, scendendo nel palmares, il Grand Prix a Audiard va a un discreto prison-movie, poco introspettivo ma percorso da uno stile apprezzabile, che fugge dalle quattro mura della mera rappresentazione para-documentaristica e degli j'accuse sociologici: tutto l'opposto dell'insincero e anticinematografico A l'origine del connazionale Xavier Giannoli, giustamente rimasto a bocca asciutta.
Se il premio per la sceneggiatura al cinese Spring Fever segnala piuttosto il coraggio politico e poetico di Lou Ye, che con Summer Palace aveva fatto di meglio, viceversa decisamente non avallabile è quello alla regia del poco Brillante Mendoza: l'iniziazione criminale di un allievo poliziotto è girata dal regista filippino pensando all'Ovest, leggi Cannes, e con un disarmato guerrilla-style. Fortissime perplessità pure sull'ex-aequo della giuria: Thirst di Park Chan-wook è assetato in primis di Cinema, Fish Tank avrebbe gareggiato meritatamente solo con la protagonista Katie Jarvis, tutto il resto, anglo-realista, è noia.
Sul fronte attoriale, il premio alla Charlotte Gainsbourg del misogino, ma assolutamente non disprezzabile, Antichrist di Lars Von Trier indica condivisibilmente che per le giurate - con la Huppert, Robin Wright Penn, Asia Argento, Sharmila Tagore e Shu Qi - l'importante è interpretare, non ciò che si interpreta: e la figlia di Serge e Jane Birkin l'ha fatto da Dio... Come deus ex machina del basterd Tarantino è Christoph Waltz, SS che tortura con la lingua, anzi le lingue. Non premiarlo sarebbe stata lesa maestà: singolare, femminile, come la Huppert.
Premio speciale ad Alain Resnais quale beneficenza al grande maestro che è (fu?), eloquenti sono le esclusioni: c'è anche Vincere di Bellocchio, che - premio di consolazione - si conferma antifascista...