L'unico parricidio ammesso è quello metaforico che ogni artista commette nei confronti dei suoi padri in arte. Nel cinema è una costante. Ce lo mostra Giovanna Taviani nel film-documentario da lei ideato e condotto -produzione Palumbo Editore e Nuvola Film- che a Roma, alla Casa del Cinema, è stato presentato con larga partecipazione di appassionati e addetti ai lavori. Ne I nostri 30 anni - Generazioni a confronto - questo il titolo - la Taviani ha composto un saggio-inchiesta fra registi italiani che, dagli anni 50 a oggi hanno dato espressione filmica alle fasi di svolta della nostra società, ognuno interpretando la propria epoca con gli occhi del trentenne. Ne è venuto fuori un inedito viaggio attraverso illussioni e disillusioni dei cineasti più impegnati nel rispecchiare in pellicola le istanze sociali e politiche. A partire da Dino Risi e dal suo "Sorpasso", parabola di un fallimento e origine della commedia all'italiana accanto al Monicelli de "I soliti ignoti, passando per Bellocchio, Bertolucci e i fratelli Taviani (da cui discende l'autrice), per arrivare a Salvatores, Virzì, Giordana. Ognuno intervistato sul senso che hanno inteso dare alla voglia di nuovo che si portavano addosso, con citazioni dei loro film accostati alle scene della cronaca viva. E il senso è generalmente quello di voltare le spalle ai "padri" e guardare avanti. Per meglio storicizzare il confronto Giovanna Taviani pone all'inizio e alla fine del documentario una intervista collettiva agli autori di ultima generazione - Marra, Mereu, Pellegrini, Porporato, Sorrentino, Vicari - ambientata in un luogo simbolo, la trattoria Biondo Tevere dove Visconti girò "Bellissima" e Pasolini consumò l'ultimo pasto col suo assassino. La posizione di questi ultimi accentua quel senso di distacco dai "maestri" e la voglia di rimettere in gioco il mezzo cinematografico come spia del cambiamento civile.
Il confronto, alla Casa del Cinema, è proseguito dal vivo dopo la proiezione del documentario e gli applausi prolungati, in una improvvisata tavola rotonda moderata da Bruno Torri. E qui, fra i molti elogi al film d'autore della Taviani, un appunto critico è venuto proprio da un padre-nonno, Mario Monicelli, il quale in una storia così documentata ha rilevato l'assenza di distacco ironico, osservando che "l' ironia è la cifra della nostra italianità".