“Quando nasciamo siamo tutti bambini innocenti, poi qualcuno può diventare simile a un dio e avere potere sulle altre persone. Il mio dittatore è un dio caduto nell'inferno che ha costruito per il proprio popolo”.
Parola del regista iraniano Mohsen Makhmalbaf, che porta al 18° Festival Tertio Millennio The President (stasera ore 21, Sala Trevi di Roma, con introduzione di Mohsen Makhmalbaf e Alberto Barbera, ndr) già film d'apertura di Orizzonti a Venezia 71. Protagonista, il dittatore (Misha Gomiashvili) di un immaginario paese caucasico che dopo un colpo di stato deve scappare con il nipotino di cinque anni (Dachi Orvelashvili): scoprirà il paese che ha sottomesso, conoscerà il popolo che ha martoriato per anni… “Dopo il collasso di un regime, che sia di un re, un presidente o un despota, la violenza usata contro di loro dalle persone del paese porterà a nuove violenze. Perché il nuovo partito dominante non concederà poteri perché ha paura di incorrere nella stessa fine violenta”, osserva Makhmalbaf, che vive da tempo lontano dalla propria patria: “In questi anni il cinema iraniano si è diviso in due parti: alcuni registi hanno scelto di lavorare fuori dal paese per realizzare le proprie opere, altri sono rimasti in Iran dove trovano difficoltà a girare i propri lavori. E alcuni di loro vengono anche arrestati”.

Eppure, quel che rimane uno dei principi della nuova onda iraniana con titoli quali Kish Tales (1999) e Viaggio a Kandahar (2001), non è avvelenato sul qui e ora, anzi, trasgredisce l'indicazione geografica tipica – “The President è il ritratto satirico non di un singolo, specifico despota, ma di tutti i dittatori: visti da lontano fanno paura, da vicino sono grotteschi, perfino ridicoli” – e stigmatizza un vulnus universale: “Prima che su un dittatore, è un film sulla violenza: violenza genera violenza, non se ne esce”.
Dunque, serve tendere la mano, credere in un altro mondo possibile, predicare la riconciliazione: “Dachi rappresenta l'innocenza perduta dal nonno, la sua coscienza perduta”.

Già, I bambini ci guardano, diceva il compianto Vittorio De Sica, e l'eredità neomagicorealista di Mohsen non dimentica: nelle mani di un bambino, il mappamondo è solo un gioco, non affare da dittatori.
Dunque, se “da un lato c'è la sofferenza che questi dittatori causano al popolo, dall'altro quella provocata dalle rivoluzioni, The President sposa la speranza che questo circolo vizioso possa essere spezzato”.