Ieri pomeriggio, a Luino, nel centenario della nascita di Piero Chiara (Luino, 23 marzo 1913 – Varese, 31 dicembre 1986), il premio alla carriera a lui intitolato, sostenuto da AD, la rivista del Gruppo Condè Nast, è stato consegnato al regista Ermanno Olmi, perché - si legge nella motivazione - “ha saputo raccontare le più profonde transizioni che hanno caratterizzato la storia sociale e culturale del nostro paese. Anche apprezzato documentarista, Olmi continua a rivelare una poetica personalissima, dall'alto valore non soltanto cinematografico, ma letterario e artistico nel senso più completo”. Il presidente dell'Associazione “Amici di Piero Chiara” ha aggiunto: “Da 25 anni tentiamo di interpretare il momento storico e letterario in nome di Piero Chiara. Abbiamo scelto Olmi nel momento migliore in cui si poteva scegliere”.
A fare gli onori di casa hanno pensato il critico cinematografico Mauro Gervasini e Claudia Donadoni, mentre l'intervista con il regista è stata condotta da Mons. Dario Edoardo Viganò, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e Direttore del Centro Televisivo Vaticano (CTV) che ha cominciato il dialogo dall'ultimo film Il villaggio di cartone (2011), “un'accorata preghiera che indica una soluzione: svuotarsi e far rientrare il dinamismo dello spirito per accogliere il viandante”. “La Chiesa – ha risposto Olmi - più è vuota e più è accogliente, il mio film inizia con lo svuotamento degli  orpelli. Contempliamo i simulacri di cartone e diamo le spalle a coloro che chiedono ospitalità. Il Cristo più vicino a me è l'amico, meglio ancora, il nemico. Il vecchio prete protagonista morendo dice: “Ho capito che fare del bene è più importante della fede”. Molti cattolici mi hanno criticato, ma per me è più importante la carità della fede e il nuovo Papa mi sembra abbia presente la differenza”.
Un gruppo di bambini di quarta elementare ha fatto commuovere il maestro regalandogli un lavoro in ceramica ispirato a L'albero degli zoccoli, un libro di racconti sull'ecologia e un fascio di spighe di grano coltivate nell'orto della scuola. “Quel film (vincitore della Palma d'Oro al 31º Festival di Cannes) doveva essere il mio debutto – ha spiegato il cineasta bergamasco - il mondo contadino di mia nonna è stato la mia vera opportunità di formazione. Fin dagli anni ‘50 avevo l'idea di fare quel film perchè pensavo che segnasse la fine della civiltà contadina, l'unica civiltà compiuta, tutte le altre sono di transizione. Ma non solo non era un film sulla fine di quel mondo, ma oggi mi rendo conto che la cultura contadina ricomincia, non per niente i bambini nelle scuole fanno l'orto di classe”.
Il filo rosso del cinema di Olmi, infatti, come ha sottolineato Viganò, “è poetico, ma anche etico nel senso dell Ethos, del profilo del comportamento umano che diventa anche rapporto con una natura da tutelare, rapporto empatico sacrale tra l'uomo e il mondo”. Olmi annuendo ha proseguito: “L'uomo non può fare a meno del sentimento di attrattiva verso la Terra, come quello con chi ci ha dato la vita, i genitori. La storia dell'umanità è la storia del sangue in quanto spirito vivo rispetto allo spirito concettuale. Un filo rosso che passa da generazione in generazione. Adesso che la sbornia di una ricchezza fasulla è passata possiamo solo tornare alla Madre Terra e ricominciare da capo. Nei momenti in cui tutto va per aria possiamo misurarci con noi stessi. Se posso lasciarvi un saluto è proprio questo: al mattino mi alzo volentieri e mi domando dove mi porteranno oggi le scarpe che con fatica indosso, non rinunicio a camminare e il giorno che non potrò più farlo farò camminare i miei pensieri”.
Prima di concludere anche Olmi ha omaggiato Piero Chiara leggendo una pagina del Corriere del 10 marzo 1982 in cui una sua breve biografia era stata pubblicata insieme ad un'intervista allo scrittore luinese intitolata Piero Chiara: gente di confine.