Dopo Frodo ed Harry Potter toccherà a un altro ragazzino salvare il mondo. Aang è un Airbender, il più giovane dell'ordine monastico col potere di controllare l'aria. C'è dell'altro: Aang è un Avatar (dalla parola sanscrita Avatāra, che significa “disceso”), capace di manipolare tutti e quattro gli elementi e ristabilire l'equilibrio sulla terra. Saltato da quando gli attaccabrighe della Nazione del Fuoco - uno dei regni che governa il mondo insieme a quelli dell'Aria, dell'Acqua e del Fuoco - si sono messi in testa di sottomettere a colpi di palle roventi il resto del Pianeta. Aang, come Frodo ed Harry Potter, non è solo nell'impresa. Si sposta sul suo bisonte volante accompagnato da Sokka il farfallone e Katara la bella, fratelli e intrepidi guerrieri della Tribù dell'Acqua del Sud. Più semplicemente di così l'incipit di The Last Airbender - primo capitolo di una trilogia annunciata, diretto dal regista del Sesto senso M.Night Shyamalan, dal 24 settembre in Italia - non sapevamo raccontarlo. D'altra parte la con-fusione sembra essere il tratto caratteristico del neo-fantasy americano.
La riprova è che nemmeno Wikipedia sa come definirli certi film. Sulla web enciclopedia The Last Airbender è un action-adventure-fantasy movie. Come dire tre film al prezzo di uno. Con buona pace dei generi. E' l' ultima Hollywood, bellezza. O se preferite, la solita: cambia purché convenga. E conviene: il macrogenere fantastico - come altro definire questo mega minestrone di archetipi, codici, innesti culturali e stili discorsivi? - ha ridato fiato alle trombe del grande cinema, garantito la sua sopravvivenza quando tutti lo davano per spacciato. Il 2009, tra un Avatar e un Harry Potter, è stato l'anno record per il botteghino americano. In barba ai puristi. Il vero filmone per famiglie oggi è questo, lo dicono in molti, lo dimostrano i numeri. Solo qualche anno fa se ci avessero parlato di un film-contenitore privo di star (e anche The Last Airbender non presenta grandi nomi), capace di miscelare insieme avventura, amore, formazione, mito, paganesimo, magia, occulto, saremmo scoppiati a ridere chiedendoci: che marmellata è questa? Eccola: una buona per tutti i gusti, ideologicamente elastica (il fantasy non è di destra né di sinistra), tecnologicamente seducente, psicologicamente efficace, economicamente redditizia.
Così Hollywood è sopravvissuta alla crisi sistemica esplosa in piena era postmoderna. Se non ci sono più i generi, avranno ragionato i capoccia dell'industria americana, perché non provarne uno che li sostituisca tutti? Uno spettacolo che sia la summa di tutti gli spettacoli, formato dai grandi architesti della narrativa, nutrito a digitale, adattabile ovunque (piace da oriente a occidente), servito su enormi sale multiplex fornite di confort e attrezzate di ogni congegno futuribile?
Individuare ne il successo de Il signore degli anelli l'origine di una tendenza non aiuta a comprenderne ancora le cause né le strategie esperite. La critica psicanalitica ha messo in luce il carattere palliativo dei grandi racconti archetipici e seriali in periodi particolarmente opachi e travagliati della storia. Non pensare all'11 settembre è impossibile. L'archetipo permette l'ancoraggio a un quadro di riferimento chiaro, stabile, di facile lettura. La serialità apre il testo a una progressione potenzialmente infinita, esorcizzando (allegoricamente) la morte. D'altra parte l'evasione non è un invenzione di Bin Laden. La serialità la tv l'ha scoperta molto prima. Il cinema ha seguito l'esempio virtuoso del piccolo schermo. Anzi, proprio The Last Airbender - tratto da un cartoon - dimostra una volta di più la sua dipendenza da universo mediale composito: tv, fumetto, letteratura per ragazzi, videogame, costituiscono un serbatoio inesauribile di storie di cui il cinema sembra non potere fare a meno. E' il suo limite e il suo punto di forza. Come per la tecnologia. I profeti della realtà virtuale e dei new-media avevano già mandato in pensione il grande schermo. Invece proprio la CG e il 3D sono stati alla base del suo risorgimento. Certo è un cinema che deve costantemente inseguire. Che deve adattarsi al mutamento. Ma che sa anche rilanciare. Avatar ha alzato l'asticella qualitativa del neo-fantasy non solo perché ha dispiegato tutta la potenza del cinema come tecnologia, ma perché ha restituito all'invenzione dei Lumiere il carattere di un'esperienza sociale. Da non perdere. Uno scaltro eppur miracoloso equilibrio di classica mitopoiesi e mirabilia all'avanguardia. Che il ritorno in grande del cinema sia ancora merito di un blockbuster probabilmente non piacerà a tutti, e preoccuperà più di uno tra filmaker autarchici e produttori indipendenti. D'altra parte, come ebbe a dire una volta un grande maestro americano, William Gibson, “il futuro è arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”. Ma questa è un'altra storia, forse davvero un altro cinema.