"Allora portavo davvero le lenti azzure: non perché mi sentissi emarginato, ero io che volevo essere più integrato": così parla Nader Sarhan , 19 anni, figlio di egiziani, italiano all'anagrafe, protagonista di Alì ha gli occhi azzurri, con cui torna al Festival di Roma tre anni dopo Fratelli d'italia, il documentario di cui era protagonista. Accompagna il suo regista, Claudio Giovannesi, di ritorno nella kermesse capitolina anche lui, stavolta in concorso: "Volevo continuare a lavorare sul tema dell'adolescenza periferica, multiculturale - spiega Giovannesi -. I personaggi sono quelli del documentario, le storie che racconto vicinissime a quelle vissute da loro, ma il lavoro sulla messa in scena è stato decisamente più faticoso".
Siamo a Ostia, pieno inverno. Nadar e Stefano sono migliori amici, due sedicenni arrabbiati con il mondo, ribelli senza causa, attivi nel ramo "bravate e furtarelli", decisamente meno in quello scolastico. Il primo è nato a Roma ma è di origine egiziana, è lui il centro di gravità della storia scritta da Filippo Gravino rielaborando appunti e scampoli di vita dei nostri. Nader è scappato di casa da quando i genitori, di stretta osservanza musulmana, gli hanno manifestato tutta la loro contrarietà al fidanzamento con una ragazza italiana (sia i genitori che la fidanzata sono quelli reali di Nader Sarhan). La situazione precipita: "Non so come finirà questa storia né se avverrà la tanto agognata integrazione in questo paese - spiega Giovannesi -. M'interessava cogliere un processo in divenire, raccontare la ricchezza dei conflitti". Titolo ispirato a un verso di una poesia di Pasolini ("...dietro ai loro Alì dagli occhi azzurri...", Profezia, 1962), che prefigurava già l'avvento della società multietnica, il film richiama alla memoria il "poeta corsaro" pure per l'ambientazione a Ostia (splendidamente fotografata da Ciprì). Alì ha gli occhi azzurri non è tuttavia un omaggio ai Ragazzi di vita pasoliniani: "Quelli erano i figli del dopoguerra, i sopravvissuti di un'apocalisse. Questi invece sono gli eredi della prima ondata migratoria, imbevuti di tradizioni da una parte e di consumismo dall'altra", rivela il regista. Contraddizione che è il nodo gordiano per il protagonista di questo film e per tutti gli immigrati di seconda generazione che si sentono italiani, ma fino a un certo punto: "Le persone dovrebbero essere giudicate per ciò che sono, non per il posto da cui provengono", chiude Nader e il suo augurio è la giusta chiosa a un film che si è meritato gli applausi della stampa stamattina e presto si sottoporrà al giudizio del pubblico: al Festival e in sala, dove arriverà il 15 novembre distribuito dalla BIM.