C'era una volta Zdenek Zeman. Insieme a lui, un'idea di calcio che - nei primi anni '90 - rivoluzionò il campionato italiano: era il Foggia dei miracoli, arrivato in serie A con un gruppo di giocatori reclutati nelle categorie inferiori per un tozzo di pane, destinati poco dopo a far tremare le compagini più titolate (e miliardarie) che si presentavano allo Stadio Zaccheria. Nasceva Zemanlandia, utopico mondo dove regnava il 4-3-3, ci si difendeva attaccando e poteva accadere che la squadra, pur perdendo, uscisse dal campo fra gli applausi: mondo che rivive oggi nel bel documentario di Giuseppe Sansonna, prodotto da ShowLab (domenica 11 ottobre in onda su ESPN Classic alle ore 22, poi a novembre presente al Festival del Cinema Indipendente di Foggia), che in 55' racconta attraverso immagini di repertorio (fornite da TeleFoggia) e incredibili aneddoti, il particolarissimo rapporto tra Zeman, tecnico praghese arrivato nel '69 nel sud Italia, e Pasquale Casillo, imprenditore napoletano e vulcanico presidente del Foggia. "Sono due personaggi cinematografici opposti - dice il giovane regista, da adolescente testimone di quella 'rappresentazione sacra' che era la domenica calcistica di Zemanlandia - ma uniti da qualcosa di intangibile, difficilmente spiegabile: uno col trench alla Humphrey Bogart e lo sguardo glaciale di Clint Eastwood, uomo che dà l'idea di aver capito qualcosa di profondo del senso della vita e di non vantarsene troppo, l'altro che sembra appena uscito da un film di Scorsese, insieme costruirono un miracolo che sarebbe stato difficile ripetere". E nel documentario, intervallati dalle incredibili giocate dei vari Signori, Baiano, Rambaudi, Shalimov e tanti altri (come il terzino sinistro Codispoti, gran corridore ma piedi poco fini al punto che Casillo gli infilava banconote da 100.000 lire nello scarpino per farlo crossare meglio...), Zeman e Don Pasquale, il re del grano, si ritrovano fianco a fianco, su un divano, a ricordare quei giorni, e sembra di rivedere le grandi coppie della gloriosa commedia all'italiana, uno taciturno (non a caso soprannominato "Il muto" da Peppino Pavone, all'epoca diesse della società e sempre al tavolo da gioco con il boemo e i magazzinieri per il Tresette a perdere), l'altro incontenibile, debordante in ogni sua manifestazione, come quando scelse di ingaggiare il mister dopo aver visto perdere il suo Licata per 4 a 1, o quando scese negli spogliatoi per dare il premio partita ai giocatori e al tecnico sconfitti in casa per 1 a 0 dal Sorrento: "Avevano comunque combattuto fino alla fine, mi era piaciuto l'atteggiamento in campo".
Un'estasi collettiva, destinata a terminare nell'aprile del '94, quando arrestarono Casillo per associazione mafiosa, truffa e peculato (poi assolto tredici anni dopo), distruggendo di conseguenza il sogno foggiano. I grandi giocatori se ne erano già andati, Zeman lo fece proprio alla fine di quella stagione, arrivando nella Capitale, prima sponda Lazio poi altri due anni con la Roma: "Il secondo anno (stagione '98-'99, ndr) fecero pagare alla Roma le mie dichiarazioni sulle farmacie e il doping amministrativo - ricorda Zeman - e oggi mi occupo di un altro tipo di erba, quella da golf, perché quella dei campi di calcio mi è stata negata: fosse per me allenerei ancora, mi sono divertito e ho ancora voglia di divertire la gente". Bello, ma perdente: questa l'etichetta che si è sempre portato dietro l'allenatore boemo e Casillo, in un certo senso, conferma: "Ero innamorato di lui (al punto da far piantonare ad un suo uomo di fiducia la sede del Parma quando girava voce che il tecnico avesse preso accordi con il club emiliano, ndr), soprattutto perché ci costava poco. Con Zeman non si vincevano scudetti normali, ma scudetti 'finanziari': non a caso Lazio e Roma sono entrate in borsa proprio quando c'era lui ed hanno avuto guadagni rispettivamente di 240 e 800 miliardi di lire...". Poi però accadde "qualcosa" ("perché il calcio non è quello che vedete voi - dice ancora Casillo - ma è regolato dagli interessi che ci sono dietro e che stabiliscono ogni cosa"), e il tecnico boemo venne progressivamente messo ai margini: "Mi sento ancora abbastanza bravo, spiega Zeman, il gioco del calcio esiste da oltre 100 anni, il pallone è sempre rotondo, le misure del campo sono le stesse: per me ha sempre contato quello che succedeva sul terreno di gioco. In campo ancora è possibile tutto, anche riproporre quel periodo fantastico, purtroppo però al di fuori ci sono altre 'esigenze'...". Che nel contesto attuale, probabilmente, uno come lui, cantore di massime come "Il risultato è casuale, la prestazione no", non potrebbe accettare: "Si vede che non c'è più bisogno di allenatori", dirà alla fine del documentario. "Mourinho? Quello che ha fatto vedere in un anno qui in Italia è molto poco dal punto di vista del bel gioco. Credo sia però un bravissimo gestore, soprattutto della stampa".