“Vorrei augurare la buona notte a tutti quelli che vivono in questo Paese ma che non si sentono in affitto, perché questo paese è di chi lo abita e non di chi lo governa”. Così Luciano Ligabue chiude i suoi concerti; così Piergiorgio Gay ne ha tratto spunto per Niente paura, che Bim porterà in sala il 10 settembre dopo il fuori concorso alla Mostra di Venezia.
Da don Ciotti a Stefano Rodotà, da Giovanni Soldini a Carlo Verdone, il documentario lega uomini e donne - “Non ci sono politici di professione, ma l'Italia civile” - alle canzoni del Liga, passando in rassegna gli ultimi 30 anni d'Italia: “Non è un lavoro storico, mancano molte cose, perché sono le persone il motore primo della storia: dalla ragazza albanese che con 20mila connazionali sbarcò a Bari nel '91 sulla nave Vlora a  Ligabue, che, come ha già rivelato in Da zero a dieci, avrebbe potuto trovarsi alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. E' un film arbitrario, nasce dall'esperienza delle persone: sono testimoni del tempo e della loro storia personale, non dei maestrini”, puntualizza Gay.
Che rivela perché ha voluto Luciano Ligabue quale voce e musica principe: “Per un vissuto, un sentimento che percepivo comune: come me, ha un amore contrastato per questo Paese. Pur non essendo un musicista politico in senso stretto, nei suoi concerti, quando canta Non è tempo per noi sul maxischermo sono proiettati gli articoli della Costituzione italiana e per Buonanotte all'Italia scorrono i visi di chi ha fatto qualcosa per questo Paese”. Perché l'assunto di fondo del doc è che la musica popolare possa raccontarci: “Ho dovuto trovare un musicista popolare, e il Liga mi è sembrato il più giusto. Poi, ci sono motivi di cuore: gli piacciono gli Stones, è interista… Sono affinità, appartenenze comuni, che ti fanno capire che suoni lo stesso strumento”.
Da Margherita Hack a Paolo Rossi e Umberto Veronesi, "a guidare - dice Gay - è un filo anarchico, ma l'emozione passa da una parte all'altra: penso alla battaglia perseguita da Beppino Englaro per 15 anni, alla perseveranza di Sabina, la figlia di Guido Rossa, a Umberto Veronesi che parla del testamento biologico”. Comunque, il minimo comune denominatore c'è, e forte: “Senza sollecitazioni esterne, alla fine tutti finivano su un articolo della Costituzione: come dice Veronesi, per i laici è quello il codice, mentre Englaro, sorprendentemente, non ha citato l'articolo 32, ma il 13, quello sulla libertà individuale, e Fabio Volo ha voluto leggere il 36°, quello sulla giusta retribuzione. Che, aggiungo, riguarda pure noi registi…”.