Prendersi cura delle cose per liberarsene. E' la prospettiva del nuovo film scritto e diretto da Sergio Rubini, che ha un titolo semplice e forte: La terra. Nella luce abbacinante, "messicana" del Salento dove si sono svolte le riprese, la storia strizza l'occhio al "giallo", ma è soprattutto un dramma etico, il "mezzogiorno di fuoco" di un quarantacinquenne tornato a casa di lontano. E' un film che ambisce al romanzesco nel porre e governare il dilemma della distanza/vicinanza rispetto alle radici, in fondo la magnifica ossessione della filmografia del Rubini regista: otto film, sei dei quali girati nella sua Puglia o alla Puglia legati per lingua e provenienza del protagonista. Tutto cominciò con La stazione nel 1990, da un testo teatrale di Umberto Marino. Il coetaneo e conterraneo Domenico Procacci, ai primi passi da produttore con la neonata Fandango, convinse Rubini a farne un film e a dirigerlo. Fu un successo alla Mostra di Venezia e nelle sale, così i due pensarono di bissare l'impresa nel 1993 con La bionda, che invece ebbe esiti disastrosi di critica e di botteghino. Per Procacci La bionda si risolse in una battuta d'arresto da cui ha faticato a riprendersi, mentre Rubini per anni si è portato dentro il senso di colpa per aver fatto perdere tanti soldi al suo mentore. S'intende, allora, perché la prima "notizia" dal set de La terra sia stata il ritrovarli insieme, entrambi con una gran voglia di dirti che quella vicenda è stata elaborata. Rubini: "Domenico è diventato uno dei nostri produttori più importanti, è naturale io voglia lavorare con lui, che oggi sento meno fratello e più padre". Procacci: "Allora abbiamo commesso una serie di errori dovuti alla paura, all'inesperienza, all'arroganza, ma anche alla sfortuna". La terra è una sorta di Heri dicebamus, di "dove eravamo rimasti…". E persino il protagonista è lo stesso ch'era stato scelto dodici anni fa: Fabrizio Bentivoglio. Dice Rubini: "Il film racconta come a un certo punto della vita si venga chiamati ad assumersi una serie di responsabilità, le stesse che mai avremmo voluto assumerci. Spesso queste responsabilità provengono dalla famiglia, da una dimensione ematica, dal sangue. Non è questione di proprietà, e tuttavia la terra può dividere, unisce piuttosto il non averla. Luigi, che io definisco 'il ragionatore', entra in una spirale dolce e dolorosa, si riappropria della sua famiglia composta da due fratelli e un fratellastro divisi dalla terra ereditata dal padre benestante, fino a compromettersi, fino a trasformarsi". Dov'è il giallo? "C'è un omicidio, viene ucciso una specie di usuraio e arrampicatore sociale e Luigi dovrà risolvere la situazione scabrosa. Succede: quando te ne vai lontano da casa, i famigliari, gli amici, gli altri, ti perdono di vista. Poi un giorno torni, ti fermi e gli altri finalmente ricominciano a vederti e ti chiedono delle cose, spingono perché tu ti prenda cura di certe situazioni". Ci sono, con Bentivoglio, gli attori che interpretano il fratello minore impegnato nel volontariato cattolico (Paolo Briguglia), il mediano Emilio Solfrizzi (un fallito che sta in politica) e il fratellastro Massimo Venturiello, mentre Sergio si è ritagliato il ruolo dell'usuraio. Le attrici principali sono Claudia Gerini (moglie di Luigi) e la giovane Giovanna Di Rauso.