"Ci mettiamo in ascolto delle preoccupazioni dei cineasti, per disegnare una mappa non solo dello stato di salute del cinema, ma delle sue condizioni mentali e spirituali. Come ogni anno, non abbiamo risultati definitivi, piuttosto una mappa provvisoria". Parola, anzi polaroid, di Marco Müller, per il quinto anno direttore della Mostra di Venezia. All'immediata vigilia della 65esima kermesse lagunare, Müller precisa innanzitutto la scelta di affidarsi per la selezione a un team giovane, con le new entry Violetta Bellocchio (1977), Paolo Bertolin (1975) e Alberto Pezzotta (1965): "Non ho alcuna recriminazione da fare sui selezionatori del quadriennio 2004-2007, ma per inclinazioni estetiche e affinità anagrafiche erano troppo simili. Sentivo il desiderio di venire contraddetto: in effetti, il cartellone è frutto di lunghe, lunghissime discussioni, necessarie per inseguire il cinema laddove è ancora vitale, oltre il virtuale". "Anche per nomi importanti - prosegue il direttore - si è ragionato, nessun invito dato per scontato: "Ma questo c'ha l'abbonamento?", insorgeva qualcuno...". "Appartenenza produttiva e distributiva obbligata - per i soldi delle televisioni - a parte, per la selezione italiana (vero punto debole dell'edizione 2007, NdR) ci siamo ridotti all'ultimo per vedere tutti i papabili, con la consapevolezza di non dover niente a nessuno", incalza Müller, che sul fronte americano ha incassato con piacere il ritorno in Mostra di Giulia D'Agnolo Vallan, reduce dalla co-direzione del Torino Film Festival: "Con lei, il continente del cinema indipendente Usa è tornato a disposizione: i film ce li siamo andati a  trovare, dal Texas all'Oregon. Abbiamo ripreso qualcosa che per me a Rotterdam e Locarno era abituale: incontrare di persona i registi, a New York come altrove, inseguendo quelli che stimo di più, quelli che continuano in un itinerario diaristico e autobiografico".
Mutatis mutandis, dall'Oriente "non arrivano solo maestri, ma esordienti, punte insolite di un cinema asiatico, che una volta di più ci regala un'originalità estranea a Europa e Stati Uniti: è forse il loro cinema meticcio l'unica risposta a quello globalizzato". E se volessimo tracciare un fil rouge di questa 65esima Mostra? "Dopo l'evidenza della guerra nel 2007, quest'anno ci troviamo in bilico tra conflitti ancora aperti e ferite che non si rimarginano: il documentarismo e la sociologia hanno lasciato il posto a un cinema che si fa memoria emotiva di quelle ferite".