“Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. È il famoso incipit di Anna Karenina, il noto romanzo dello scrittore russo Lev Tolstoj. Ecco, anche la famiglia mucciniana di A casa tutti bene non fa eccezione a questa regola.

Prodotta da Sky e Lotus Production, la prima serie tv di Gabriele Muccino, reboot dell’omonimo film campione d’incassi del 2018, sarà disponibile dal 20 dicembre su Sky e in streaming su Now.

Un family drama in otto episodi scritti dallo stesso Muccino insieme a Barbara Petronio, Andrea Nobile, Gabriele Galli e Camilla Buizza, che racconta la vita della numerosa famiglia Ristuccia. Ad interpretare i vari membri un grande cast corale capitanato da Laura Morante e Francesco Acquaroli, nei ruoli di Alba e Pietro Ristuccia, proprietari del ristorante San Pietro a Roma e genitori di Carlo, Sara e Paolo, interpretati rispettivamente da Francesco Scianna, Silvia D’Amico e Simone Liberati. E poi tanti altri interpretati da Valerio Aprea, Emma Marrone, Alessio Moneta, Milena Mancini, Euridice Axen, Francesco Martino, Laura Adriani, Antonio Folletto, Paola Sotgiu, l’esordiente Sveva Mariani e il giovanissimo Federico Ielapi.

“Questa è una serie che nasce da un mio stesso prodotto. Mi sono imposto di non cambiare linguaggio, di non ammorbidire le frizioni, i contrasti, le tensioni e la sgradevolezza dello stare al mondo e di raccontare le contraddizioni, le debolezze e le fragilità dell’essere umano”, dice Gabriele Muccino che per la prima volta dirige una serie tv.

Il regista Gabriele Muccino

“Ho pensato ambiziosamente di portare il cinema in televisione. Spero di riportare il mio linguaggio anche a persone che non mi conoscono anagraficamente. Il mio film A casa tutti bene aveva personaggi forti e carichi di vita che meritavano di essere sviluppati. Per questo ho deciso di fare questa serie. Certo, è stato impossibile rimettere insieme quel cast e quindi mi sono messo nell’ottica di trovare un cast completamente nuovo che potesse ricostruire quella mappa che il film segnava. Racconto gli stessi personaggi a Roma senza avere la claustrofobia stretta dell’isola nella quale erano intrappolati nel film. Ho così avuto la possibilità di esplorare i tanti sentimenti dell’uomo dall’avidità alla gelosia, dall’invidia ai buchi affettivi, nonché di raccontare perché ognuno di loro agisce in un certo modo. Questa cosa al cinema non la puoi fare perché il racconto necessariamente deve essere più sintetico”.

E sulle serie tv dice: “Come spettatore sono selettivo. Non ho tempo da perdere. Spesso vedo le cose di cui ho sentito parlare bene. Ci sono serie che sono cinema. Penso per esempio a Scene da un matrimonioEscape at Dannemora La Regina degli scacchi. È televisione altissima o è cinema in televisione? Non importa più. Stiamo transitando in una nuova era di cui nessuno sa quali saranno gli effetti futuri, come nel passaggio dal muto al sonoro. È un momento interessante perché le cose stanno cambiando velocemente e ancora di più con questa pandemia”.

Non solo per la prima volta Gabriele Muccino qui si è cimentato in una serie tv, ma ha anche dato spazio a un genere, ovvero il crime, che non aveva mai raccontato. “Il crime è stata un’intuizione che hanno avuto gli sceneggiatori. Mi è sembrato interessante perché ho avuto sempre un’attrazione verso l’oscuro. E poi questa è una serie che parla dei sentimenti primari più foschi e il crime apre una frontiera che ti porta ad entrare nel labirinto mentale di chi lo subisce o le esercita e nelle componenti primordiali dell’essere umano”.

In programma c’è già la seconda stagione. “Avevo pensato a un altro regista che potesse sostituirmi, ma in realtà lo voglio fare io”, conclude Muccino ridendo.