Mongolia ancora protagonista alla 57a Berlinale. Rispetto all'applauditissimo Tuya's Marriage, che i pronostici danno tra i favoriti per l'Orso d'Oro, il cinese Zhang Lu rovescia le prospettive, puntando su una storia di incomunicabilità, inquietudine e isolamento. Simili le alture che fanno da sfondo alla vicenda, il film in concorso Desert Dream inquadra però una Mongolia più arida, brulla e visivamente più desolante. "Non volevo necessariamente ambientare lì il film - dice il regista -. Appena sono arrivato ho però capito che quelle distese e quegli orizzonti sterminati erano il set naturale per lo smarrimento esistenziale di cui volevo parlare".
La prospettiva è nuovamente quella di una poverissima famiglia di contadini. Quotidianità della steppa, sguardi bassi e lunghissimi silenzi, parlano però di una profonda inquietudine: "I miei protagonisti sono tutti in cerca di una loro dimensione - spiega Zhang Lu -. Per questo anche la scelta della camera a mano. La volontà era quella di seguirli passo passo, nella loro disperata ricerca di una tranquillità". A incarnare la solitudine di cui parla è una casuale aggregazione umana, che si viene a creare nel nulla desertico delle pianure mongole. Al protagonista, lasciato solo da moglie e figlia, non resta che dedicarsi anima e corpo alla folle missione di piantare alberi nel deserto. E' qui che avviene il muto incontro con una donna coreana e suo figlio, in fuga dal loro paese. Un rapporto fatto di sguardi e silenzi, che si intreccia poi con l'inquietudine di un soldato, anche lui in transito da quelle parti.
Le vicende produttive del film, realizzato grazie a una compagnia di produzione coreana, hanno portato all'assemblaggio di un cast internazionale.
"Sul set si parlava mongolo, coreano e cinese - racconta il regista -. All'inizio temevo che avrebbe potuto comportare delle difficoltà, ma poi ho appreso la lezione dei mongoli. Il silenzio è davvero d'oro e le parole sono spesso più un ostacolo che un aiuto alla comunicazione".