(Cinematografo.it/Adnkronos) – "Il fatto che nel luogo in assoluto più sacro e diviso della Terra esista una qualche forma di ‘immacolata concezione’, è tanto affascinante quanto surreale". Il regista egiziano Mohamed Diab parla così della genesi del film 'Amira', presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia, che racconta il fenomeno di bambini palestinesi concepiti con il seme dei padri carcerati, che viene fatto opportunamente uscire dalla prigione e recapitato alle mogli fuori dalle sbarre.

Amira (interpretata dalla giovane star mediorientale Tara Abboud) è infatti una diciassettenne palestinese che è stata concepita con il seme di Nawar, trafugato dalla prigione nella quale egli è recluso. Sebbene sin dalla sua nascita il loro rapporto si sia limitato esclusivamente alle visite in carcere, il padre rimane il suo eroe e la sua sua assenza è ampiamente compensata dall’amore e dall’affetto di coloro che la circondano. Ma quando il tentativo fallito di concepire un altro bambino porta a galla la sterilità di Nawar, il mondo di Amira viene stravolto. "Amira - spiega il regista - rappresenta un’esplorazione microcosmica della divisione e della xenofobia che regnano nel mondo odierno e in Medio Oriente. Nel dipanare la questione dell’identità della protagonista, il film vuole sollevare la questione se l’odio nasca spontaneo o venga coltivato", conclude Mohamed Diab.