Milano Film Festival premia. Il concorso lungometraggi è stato vinto da Les rencontres d'après minuit (You and the Night) di Yann Gonzalez, un figlio della generazione MTV che pesca a piene dall'immaginario della nouvelle vague tessendo un film bizzarre, un incontro tra The Breakfast Club, il cinema del tardo Buñuel e l'ironia di The rocky horror picture show, intriso di atmosfere e suoni anni '80, erotismo soft-porn e archetipi freudiani, miti classici e tramonti di cartone. Definito da Variety dopo la proiezione alla Settimana della Critica di Cannes 2013 come il nuovo  Almodovar o Ozon, Gonzalez affronta temi come il dolore, la morte, il trauma, la poesia, la bellezza, la malinconia per allestire una macabra e fiabesca discesa nell'oscurità degli appetiti e una rinascita alla luce dell'alba, in cui “Lussuria è espressione di vitalità e la sessualità solo un'altra forma di comunicazione”. Un titolo fantasma, quello di un romanzo perduto di Mireille Havet, che nasconde un appuntamento: dopo la mezzanotte, infatti, l'appartamento hi-tech (con uno psichedelico “jukebox sensoriale”) di una giovane coppia (Kate Moran, Niels Schneider), che ha un misterioso triangolo amoroso con la cameriera transessuale, accoglie cuori solitari in confltto e in cerca di se stessi per una notte di lussuria e purificazione. Nel cast anche un inedito Eric Cantona, un cameo sadomaso di Béatrice Dalle e il figlio d'arte di Alain Delon, Fabien.
La menzione speciale e il Premio Aprile (attribuito dal comitato di selezione) sono andati all'italiana Alessandra Celesia per il suo Mirage à l'italienne. Il pubblico e la giuria formata dagli studenti univesitari hanno scelto In bloom di Nana Ekvtimishvili e Simon Groß, scarno romanzo di formazione di due amiche, sorelle inseparabili, che vivono un'adolescenza disagiata alla soglia della maturità a Triblinca, ex Urss nel 1992. Una delle tante storie sulla ricerca o la riappropriazione dell'identità che hanno contraddistino la selezione dei lunghi di questa XVIII edizione, da Habi la extranjera di María Florencia Álvarez, in cui Analia, diciannovenne argentina di Buenos Aires sceglie di chiamarsi Habi e diventare musulmana, a Licks, del giovanissimo regista e produttore californiano Jonathan Singer-Vine, cruda e brutale storia di redenzione ambientata nel ghetto di Oakland.
Il filo rosso dell'identità politica e dell'oppressione dell'opposizione da parte di regimi totalitari ha fatto da raccordo tra una serie di pellicole nelle sezioni collatrali. Primo tra tutti quello iraniano, incombente nel film clandestino di Jafar Panahi Closed Curtain, e denunciato nel bellissimo ritratto di Bahman Mohasses, pittore acclamato ai tempi dello Scià poi esiliato a Roma, in Fifi Howls From Happiness di Mitra Farahani, che diventa testimone dell'irraccontabile, la morte in diretta dell'artista. Ci trascina in nell'orrore del passato recente dell'Argentina Necesitas algo Nena? di Laura Chiossone che tramanda la vicenda di una delle madri di Plaza de Mayo, la desaparecida Angela Maria Aieta, e racconta le atrocità commesse dagli ufficiali dell'esercito peronista attraverso le testimonianze dei soppravvissuti “ai voli della morte”, i reaparecidos.
La sezione Colpe di stato, invece, ha mostrato l'altro lato della dicotomia vittima-carnefice, presentando la banalità del male in una serie di documentari sulle violenze di mercenari e criminali di guerra. In The act of killing il documentarista texano Joshua Oppenheimer ripropone la messa in scena del massacro. Con vanità e narcisismo, come su un set hollywoodiano, i membri degli squadroni della morte indonesiani, un'organizzazione paramiltare nota ancora oggi come Gioventu Pancasilia che nel 1965 genocidò cinquecento mila oppositori comunisti, mimano compiaciuti le torture e gli omicidi. Davanti alla telecamera di Salomé Lamas, in Terra de ninguem, anche l'ex mercenario portoghese Paulo de Figueiredo racconta atrocità delle guerre coloniali con una naturalezza che raggela.