“Quando le vittime non accettano di essere vittime, la vita dei carnefici è molto meno semplice”, afferma Michel Ocelot, celebre regista d’animazione, conosciuto per Kirikù e la strega Karabà.

Il suo ultimo film, Dililì a Parigi, in uscita il 24 aprile, riguarda da vicino il conflitto di genere: “Fin da piccolissimo sono stato sensibile allo squilibrio tra uomo e donna, assurdo, irrazionale e negativo per entrambi. Crescendo, poi, ho scoperto che la situazione era addirittura peggiore di quanto pensassi”.

Il tema del sessismo è centrale nella pellicola, ambientata durante la Belle Epoque a Parigi, periodo di rivalsa per grandi personalità femminili nell’arte e nella scienza. “Era interessante mostrare questo gravissimo problema in una società di successo e progresso anche per le donne”.

Per Michel Ocelot, il lavoro nell’animazione è qualcosa di spontaneo e naturale, destinato a chiunque, non ristretto da target o etichette: “Dal mio primo film, non pensavo ad alcun tipo di pubblico predefinito. Siccome si trattava di animazione, però, lo si è targato come ‘per bambini’. Il marchio mi è rimasto impresso da allora. All’inizio ero dispiaciuto, ma oggi ne sono contento. È come un cavallo di Troia, gli adulti pensano che l’animazione sia per bambini e si fidano dei miei film. E io dentro ci metto qualsiasi cosa. Voilà!”.

D’altronde, l'autore ritiene l’animazione uno strumento universale e da preservare, quanto la letteratura.

“Ci sono arrivato intorno ai due anni d’età, con forbici, carta, disegnando, colorando e decorando. Se fossi vissuto nell’era digitale, non so se sarebbe stato lo stesso. Per questo non mi fanno impazzire i film in 3D: sono imitazioni della realtà. Non credo occorra nascondere che un film è opera dell’immaginario. Il cervello si attiva, immaginando, ed è meglio che servirsi di imitazioni del reale, masticate e rimasticate”.